Non meno, ma più lavoratori per rilanciare l’economia
Il lavoro è l’ascensore sociale da ripristinare
L’economia si fonda sul lavoro. I soggetti economici producono beni e servizi che mediante i mercati vengono offerti ai consumatori, cioè i cittadini, che sono i destinatari ultimi del ciclo. L’offerta ha bisogno della domanda che si regge sul potere di acquisto. Per comperare occorre avere la disponibilità che deriva dalla retribuzione; meno lavoro vuol dire meno consumi e quindi maggiori difficoltà per le aziende . Il lavoro è quindi l’elemento necessario affinché il sistema economico possa reggere nel tempo. Occorre quindi creare tanta occupazione il più possibile stabile. Nel breve periodo le aziende per compensare i minori introiti a causa di minori consumi possono agire su altre leve: fiscale, finanziaria, patrimoniale, e sulla riduzione del costo lavoro che oggi è diventata purtroppo la prima azione compensativa. Ma prima o poi la realtà presenta il conto, cioè abbiamo bisogno di tanti lavoratori. Una concatenazione complessa che non possono risolvere le singole imprese ma che chiede una risposta organizzata anche in ambiti sovranazionali. La spietata concorrenza al ribasso del costo del lavoro anche mediante lo spostamento di produzioni in altri paesi più convenienti, richiede un approccio di sistema globale. Le istituzioni politiche, le rappresentanze delle imprese e dei lavoratori, devono arginare questo fenomeno distorsivo che altera il senso originario nell’economia che si fonda su criteri morali e di giustizia e sulla destinazione universale dei beni della terra.
Occorre incentivare l’assunzione di persone, giovani in particolare che sono il nostro primario capitale umano. Senza piena occupazione l’economia ha i piedi d’argilla. Papa Francesco denuncia la deriva neo liberista con la vista corta del mordi, guadagni e fuggi; la schiavitù della performance immediata, della santificazione del paradigma “fiat capital gain et pereat omnia” che eleva il guadagno a fine e si disinteressa del destino umano come denuncia l’economista Marco Vitale. Il lavoro è innanzitutto l’espressione della dignità dell’uomo. Non a caso il primo articolo della Costituzione fonda la Repubblica sul lavoro. “La grandezza del lavoro è all’interno dell’uomo” diceva Giovanni Paolo II. E quindi la sue opere ne sono l’espressione tangibile. Bella è la materia che viene forgiata, bella è la sapienza che modella le forme e bello è il prodotto che ne scaturisce. Antiche dottrine che i nostri maestri del lavoro tramandano al mondo attuale e futuro. Le nostre comunità sono forti ed autorevoli quando esprimono la propria cultura ed esperienza. L’Italia poi è di sorprendente bellezza. Un fascino quotidiano di terre e opere: l’opificio, la fabbrica, la terra, i saperi delle mani, dell’ingegno e della fatica che producono manufatti speciali, unici e, per ciò, rari. Fra tradizioni e sviluppi tecnologici. Il lavoro è quindi un insieme di patrimoni che costituiscono la dignità e forza di un popolo. Questo è l’ascensore sociale da riavviare. L’anno di devozione a San Giuseppe (padre e lavoratore) indetto da Francesco costituisce l’occasione per ricostruire una visione umanistica dell’attività economica. “Omnium rerum mensura homo”, l’uomo deve tornare ad essere la misura di tutte le cose.
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