Erik Gobetti – E allora le foibe?
Nel parlare delle foibe e di quanto avvenne tra il 1943 e il 1945 al confine orientale dell’Italia, emergono spesso due posizioni estreme. Da un lato quella di una sinistra veteromarxista che nega, o quanto meno minimizza, la vicenda, addirittura parteggiando, più o meno apertamente per Tito in nome di un malinteso ed acritico sodalizio comunista. Dall’altro quella di un estremismo di destra, con non dissimulate ascendenze fascistoidi, che si erge impropriamente a nume tutelare degli esuli istriano-dalmati, cercando di monopolizzare la Giornata del Ricordo, tralasciando completamente il fatto che se oggi l’Istria non è più italiana tutta la responsabilità ricade sulle spalle della politica aggressiva seguita dal fascismo.
Lo storico Erik Gobetti, nel suo ultimo libro “E allora, le foibe?” (edizione Laterza) prova a rimettere un po’ di ordine e razionalità nella questione. Una vicenda che, al di là dell’odierna e un po’ datata polemica ideologica, vede al centro la tragedia dei migliaia e migliaia di morti infoibati e il dramma delle genti istriano-dalmate costrette ad abbandonare la terra natia. L’autore cerca di inquadrare i fatti avvenuti al confine orientale dell’Italia nel più ampio contesto di forti violenze che seguirono la fine della Seconda guerra mondiale in tutta Europa. Basti pensare, ci ricorda, alla fuga di milioni di tedeschi dai territori della Prussia orientale sotto la spinta dell’avanzata russa. Anch’essi obbligati a lasciare per sempre quella che da secoli era la loro patria.
Il libro si sofferma sul fatto che Istria e Dalmazia furono da sempre un crogiolo di nazionalità e che fu la comparsa, ai primi del XX secolo, di un acceso nazionalismo ad esacerbare in modo inaudito quelle differenze etniche, culturali e linguistiche che sino a quel momento non avevano creato eccessivi problemi. La dura reazione slava in Istria, al termine della Seconda guerra mondiale va ascritta alla repressione svolta dall’Italia fascista sia durante il Ventennio sia, nel corso del conflitto, con l’occupazione nel 1941 della Slovenia e del litorale dalmato.
Assai articolate, secondo l’autore, le cause dell’esodo. Non ci fu soltanto il terrore delle foibe, ma anche il fatto che la Jugoslavia era divenuta un Paese comunista. A far scappare la grande maggioranza degli italiani non furono solo ragioni etnico-nazionali ma anche il timore di rivolgimenti economici e sociali che avrebbero mutato i rapporti tra la comunità italiana che viveva in prevalenza sulla costa e quella slava che abitava all’interno della penisola istriana. Questioni su cui merita certamente riflettere, anche se emerge la sensazione che l’autore in qualche modo sminuisca la portata di quanto accadde agli italiani dell’Istria.
Resta infatti un dato inoppugnabile: Pola, Rovigno, Parenzo, le città della costa istriana occidentale erano abitate al 90 per cento da italiani che dovettero lasciare la loro terra in quanto ceduta alla Jugoslavia. Al di là delle cifre contrastanti sul numero dei morti, o di molteplici sfaccettature storiche o socio-economiche questo è il vero dramma: gli italiani dell’Istria pagarono ingiustamente sulla propria pelle le follie della Seconda guerra mondiale.
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