Spagna, governabilità difficile
Governabilità difficile in Spagna dopo le elezioni politiche. Il voto – a dispetto dei pronostici che parevano arridere alla destra – vede lo stentato successo del Partito popolare (Pp), l’inattesa rimonta del Partito socialista (Psoe) e il sostanziale pareggio tra estrema destra (Vox), in netto calo rispetto alla precedente tornata del 2019, e sinistra ambientalista (Sumar).
I due partiti maggiori, Pp e Psoe, sono appaiati al 32 per cento ma con un vantaggio in termini di seggi per i popolari – 137 a 121 – in virtù del frazionamento delle circoscrizioni elettorali. Vox e Sumar conquistano rispettivamente 33 e 31 seggi. Il resto è suddiviso tra le forze indipendentiste: basche (Pnv e Bildu) e catalane (Erc e Junts), cui si aggiungono Coalizione canaria nonché gli autonomisti della Galizia (Bng) e della Navarra (Upn).
Lo schieramento di destra, Pp e Vox, che solo due mesi fa aveva trionfato alle elezioni regionali, conosce un’evidente battuta d’arresto. E come se gli spagnoli, disponibili a vedere l’estrema destra al potere nei governi regionali, siano reticenti ad assegnarle compiti di guida nazionale. Neppure in coalizione con il più che collaudato Partito popolare. Vox ci ha messo anche del suo mostrando su alcuni temi delicati, come la transizione ecologica o la violenza sulle donne, posizioni francamente insostenibili. A molti elettori è parso poi chiaro che il programma dell’asse conservatore dietro la facciata del classico slogan patria, famiglia, ecc…, nascondeva soltanto un brutale liberismo tra privatizzazione della sanità, precarietà del lavoro e taglio alle imposte dei redditi più elevati.
Il leader Pp, Alberto Nunez Feijòo Pp ha infine completato l’opera di svuotamento di Vox richiamandosi al “voto utile”, senza però riuscire a conquistare grandi spazi al centro. Nel contempo l’elettorato progressista si è ricompattato per sbarrare la strada ad una destra che, in ogni caso, quando assume un profilo estremista risulta comunque minoritaria.
In queste condizioni la nascita del nuovo governo si preannuncia complicata. I 137 seggi ottenuti dal Pp sono infatti ben distanti dai 176 necessari per la maggioranza assoluta (350 sono i deputati del Congresso). Una soglia irraggiungibile anche con l’apporto di Vox. considerando che i partiti indipendentisti non voteranno mai una maggioranza in cui è presente l’estrema destra centralista. Per Feijòo la strada verso la Moncloa (il palazzo Chigi spagnolo) risulta quanto mai ostica, non a caso cambiando del tutto la propria strategia, ha sorprendentemente chiesto l’astensione del Psoe. Un voltafaccia che ha stupito persino molti esponenti del suo partito.
Il fatto è che Feijòo, leader della formazione più votata, ritiene sia suo diritto diventare capo del governo per rispettare la volontà degli elettori. In realtà in un sistema parlamentare il consenso elettorale è una condizione necessaria ma non sufficiente per ascendere alla carica di premier. Elemento decisivo è costrurire una maggioranza parlamentare a proprio favore, in mancanza della quale ogni altro sforzo si rende vano.
Non essendo però obbligatorio, nel sistema spagnolo, un esplicito voto di fiducia del Parlamento, al candidato premier, indicato dal Re, è comunque sufficiente – dopo una prima votazione di investitura in cui si richiede la maggioranza assoluta – raccogliere nella seconda investitura un numero di voti favorevoli superiore a quelli contrari. Dato che gli astenuti non entrano nel computo, ecco che la neutralità socialista basterebbe a Feijòo per accedere alla Moncloa, pur con un esecutivo di minoranza chiamato poi a cercare in aula i consensi su questo o quel provvedimento.
Un’ipotesi che esiste però solo sulla carta. Dopo una campagna elettorale tanto aspra, con il leader Pp che affermava di voler liberare la Spagna dal “sanchismo” – neologismo per stigmatizzare una politica ritenuta complice dell’indipendentismo – è improbabile che il Psoe decida di astenersi per spianargli la strada. Semmai è l’attuale premier, Pedro Sanchez, in condizioni di riproporre la coalizione – sinistra e indipendentisti – della precedente legislatura. Salvo dover aggiungere Junts, la formazione catalana più radicale, che, a differenza di quattro anni fa, adesso risulta decisiva.
Per astenersi Junts chiede l’amnistia per chi aveva preso parte all’illegittimo referendum sull’indipendenza e l’apertura di un tavolo sull’autodeterminazione. Sul primo punto un’intesa può forse essere trovata – considerato anche il mandato di cattura pendente sull’ex presidente della Generalitat, Carles Puigdemont – mentre sul secondo il Psoe non intende fare concessioni che possano violare la Costituzione.
Possibile dunque che si vada ad un blocco istituzionale con l’impossibilità di dar vita a qualsiasi coalizione. A quel punto si tornerebbe alle urne, come accadde dopo le elezioni del dicembre 2015 quando il popolare Mariano Rajoy fallì nell’intento di dar vita ad un governo e si andò a votare sei mesi dopo.
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