Il miraggio della balena bianca
La questione del rapporto fra cattolici e politica nel nostro Paese è stato spesso controverso, e non si può dire che sia stato sciolto definitivamente dal venire meno della vicenda storica della Democrazia Cristiana, giacché quel particolare frangente, che arrivava come ultima manifestazione del consumarsi di una crisi di regime di cui il partito scudocrociato era stato il fulcro, non venne accompagnato da una riflessione all’altezza né nella comunità politica né in quella ecclesiale.
Se dovessimo solo basarci sulle vicende degli ultimi anni, vedremmo ad esempio come fra gli attori politici si sia oscillato fra un’acritica adesione, tipica della destra, ad ogni richiesta della Gerarchia ecclesiastica (soprattutto quelle che non incidevano sulla linea sociale ed economica dei Governi, perché se si parlava di giustizia sociale o di immigrazione cominciavano i guai) e, a sinistra, sul riproporsi di un anticlericalismo stantio, più declamato che praticato (spesso però in forme volgari ed aggressive), che ha trovato una sua esemplificazione grottesca nella glorificazione di Zapatero come campione della lotta alle ingerenze del potere ecclesiastico, stendendo un velo di oblio su aspetti meno piacevoli della sua azione di governo che ha spesso riprodotto, specie in materia economica e sociale, il modello blairiano fino ai recenti disastri dell’economia spagnola. In questo senso non aveva torto Pietro Scoppola quando, sul finire della sua esistenza, chiedeva al nascente Partito Democratico di dotarsi di una vera “politica ecclesiastica” come l’ebbero a suo tempo i “country party” della Prima Repubblica come DC e PCI.
Ma anche fra i credenti la fine della DC venne affrontata con categorie sbagliate, oscillando fra la nostalgia e la precisa volontà ruiniana di inquadrare la pluralità della presenza dell’associazionismo cattolico nel nostro Paese all’interno di una strategia decisa a livello verticistico, mortificandone l’autonomia e schierandola a favore di un progetto che per troppo tempo si è identificato quasi al millimetro con quello berlusconiano, fino ad accettare quasi senza colpo ferire un episodio gravissimo come la distruzione della reputazione di Dino Boffo, chiaramente orchestrata a Palazzo Grazioli.
E’abbastanza evidente negli ultimi tempi il tentativo della Gerarchia ecclesiastica di smarcarsi da un Berlusconi ormai in declino nel tentativo di far obliare le connivenze di un passato ancora recente, ma una volta di più la via di uscita non sembra essere quella di riconoscere apertamente ai credenti la libertà, sancita dal Concilio Vaticano II, di orientarsi responsabilmente nella loro coscienza verso le scelte politiche ritenute soggettivamente più rispondenti al proprio essere cristiani. No, la soluzione prescelta sembra essere di tipo “badogliano”, nel senso della ricerca di un berlusconismo senza Berlusconi che però sia ancorato saldamente a destra, magari nella forma seducente della “sezione italiana del PPE”.
Si colloca in questa prospettiva il movimento ancora informe di cui parlano ormai da qualche mese gli organi di informazione, e che coinvolgerebbe alcune figure di politici, di sindacalisti e di leader associativi, e che pretenderebbe di essere una risposta al “disagio” presente nella base ecclesiale rispetto all’attuale bipolarismo dando una risposta “spontanea” a tale disagio. Ora, a parte che il disagio in questione sembra essere più di questa frangia di ceto politico che non di una realtà popolare più ampia, è del tutto evidente la mancanza di spontaneità di un movimento che viene orchestrato da vescovi e cardinali e che si raduna nelle sacrestie di qualche basilica romana, e a cui alcuni leader associativi partecipano, se si deve credere alle indiscrezioni, per puro dovere d’ufficio.
Non ha torto il giornalista di “Avvenire” Roberto Beretta –che però di questa faccenda ha dovuto scrivere su di una rivista web e non sul suo giornale- quando afferma che questa specie di “Balena bianca 2.0” sia un “vecchio arnese quanto mai pernicioso”, manovrato da gente a cui interessa “avere in mano un gruppo di politici di riferimento cui rivolgersi quando hanno un provvedimento che sta particolarmente a cuore”. Si potrebbe aggiungere che l’appello di alto profilo rivolto tre anni fa da Benedetto XVI affinché nascesse “una nuova generazione di politici cattolici” avrebbe trovato miglior rispondenza se nel corso di questi anni all’interno della Chiesa italiana non si fosse sistematicamente propugnata un’educazione al gregariato e non alla leadership, un’educazione che per forza di cose non produce un ceto dirigente credibile ma dei più o meno rispettabili yes- men.
Un confronto libero, trasparente, anche urticante, sulle vicende più gravi del tempo presente si impone nella comunità ecclesiale, fatta salva la carità reciproca, e questo confronto deve anche toccare il tema spinoso dei “principi non negoziabili”, i quali, contrariamente a quanto vuol far credere una certa vulgata, non esauriscono in sé la ricchezza e la “pluriformità” (per dirla con il cardinale Scola) dell’insegnamento sociale della Chiesa. Infatti, se presi nella forma di “comando negativo” tali principi rappresentano per il credente l’impossibilità pratica di far politica anche nei partiti di denominazione cristiana, i quali hanno accettato molta della legislazione secolarizzata che la Chiesa respinge. Se intesi, invece, come riferimenti, come segnavia da seguire nel costante confronto con una realtà complessa e largamente secolarizzata, possono rappresentare un elemento di vivificazione che si esercita trasversalmente nei diversi soggetti politici, come il sale ed il lievito di cui si parla nei Vangeli.
L’importante è non mentire a se stessi e rinunciare a mistificare il prossimo.
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