Dal “disarmo bilanciato”, una nuova consapevolezza sociale?
Stanno succedendo cose importanti negli ultimi tempi, in Italia.
Se ne stanno accorgendo un po’ tutti, leggendo i giornali, guardando i talk-show in televisione, navigando in Rete, chiacchierando con amici e vicini di casa. Il tasso di intossicazione è decisamente calato, sembriamo tutti più consapevoli della serietà del periodo che stiamo vivendo, certo anche consapevoli che è in corso una erosione delle nostre private finanze – per alcuni, diciamo socì, solo fastidiosa, per altri difficilmente tollerabile.
Certo, si potrebbe parlare di “governo delle banche”, di “conflitti d’interessi” di questo o quel ministro, didifficoltà nei rapporti con le forze sindacali e sociali, di “provocazioni” nei confronti di singole categorie o professioni. Ma ho paura che questi sarebbero argomenti parziali che non renderebbero il quadro complessivo.
Il presidente del Consiglio Monti ha parlato in tv di “disarmo bilanciato” fra le forze politiche, che sta consentendo un lavoro spedito e fruttuoso. Ed è vero. Le volgarità, gli insulti istituzionali, gli strappi del tessuto civile sono limitati a pochi exploit da parte di irriducibili.
C’è stata una dura “fase 1”, quella della stabilizzazione dei conti e dei costi pubblici; è in corso una “fase 2” che dovrebbe avviare uno sviluppo equilibrato; in prospettiva ci sarà una “fase 3”. Dopo di che, il panorama dovrebbe in qualche maniera risultare più accettabile, se le varie misure finiranno davvero con il costituire un mosaico che punti al cambiamento del modo di essere del Paese e di noi stessi. Non si stava – e non solo in ambito ecclesiale – parlando di rilanciare uno stile di “sobrietà”?
Ma c’è qualcosa di più che mi ha colpito, ed è la crescente pressione che sta venendo dall’opinione pubblica (di cui si sta facendo portavoce anche una parte del giornalismo scritto e parlato) perché questi mesi di “governo tecnico-politico” diventino l’occasione per cambiare anche il costume politico, pubblico, in definitiva “civico”. Questa sembra essere una aspirazione ampiamente sentita.
Si parla di “liberalizzazioni”, nel senso di maggiore mercato ma anche di maggiore attenzione al merito. Bene, e allora – si ricorda – perché non coinvolgere nel processo anche le grandi realtà che godono di “rendite di posizione”, in settori cruciali come le ferrovie, l’energia, le aziende municipalizzate o controllate in qualche maniera dalla mano pubblica? Non è anche attraverso l’introduzione di elementi di concorrenza e merito che si potranno toccare settori protetti di “casta” e in definitiva rifare i conti dei costi della politica?
Non si può – meno che mai in questi frangenti particolari e istituzionalmente”strani” – essere forti con i deboli e deboli con i forti. Se un segno il governo Monti deve lasciare, deve essere quello della equità sostanziale, dell’attenzione diversa alle diverse pieghe della società, sia quelle scandalosamente privilegiate, sia quelle spesso dimenticate.
Naturalmente sappiamo, e capiamo, che c’è già chi sta pensando a quando questa “parentesi” finirà e si tornerà alla “sana” concorrenza delle opzioni politiche, quando la libera dialettica riprenderà appieno e quando, anche, molti cederanno alla tentazione di appuntarsi medagliette sul petto, rivendicando meriti e dimenticando i tempi in cui hanno abbandonato il Paese al suo destino, sull’orlo del baratro.
Ma confidiamo che nel frattempo la pubblica opinione, la società civile, saranno cambiate quel tanto che basta a presentare a noi stessi, ai nostri figli e nipoti (prima che emigrino in massa cercando altrove le opportunità che qui non trovano), e anche all’Europa, un’Italia meno “anomala” e ingiusta di quella che conoscevamo appena qualche mese fa.
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