Il governo Monti dia prova di pragmatismo
Non si può certo dire che il governo guidato dal professor Monti cerchi di eludere i nodi da affrontare per contrastare la crisi. Ciò a dimostrazione che se c’è la volontà politica, da quella locale a quella internazionale, i rimedi ci sono, si possono scongiurare gli effetti più disastrosi di quei processi che nell’arco degli ultimi decenni hanno sconvolto la struttura e le economie delle società occidentali.
Tuttavia l’impressione generale è che sinora la risposta della politica al collasso economico e sociale provocato dal predominio della finanza speculativa sulla politica e sulla stessa economia, sia stata piuttosto timida e soprattutto sia avvenuta all’interno di una vecchia architettura, quella imposta dai poteri finanziari internazionali a scapito dei leggimi interessi, della sovranità e della libertà dei popoli e della stessa Unione Europea, il cui frutto più importante, l‘Euro, viene da questi fatto oggetto di sistematici ed incessanti attacchi.
Sarà lo sviluppo degli avvenimenti, la necessità di mantenere governabili le società ad affrancarci da questa vecchia visione della società, dell’economia, delle relazioni internazionali. In tutti questi ambiti non potranno più essere gli interessi delle centrali della speculazione finanziaria a dettare la linea ma dovrà essere la ricerca del bene comune. Prima ce ne accorgiamo e meglio è, anche per sbarrare la strada a pericolosi mix di giuste ragioni però intorpidite dal populismo e da rigurgiti di fascismo, di cui già si segnalano dei casi nell’Europa dell’Est.
Dal canto suo l’Italia sta dimostrando di essere una grande nazione e di avere la forza per reagire. Intanto, va ricordato che negli anni passati l’adeguamento del Paese ai dettami di quel particolare tipo di finanza che negli Stati Uniti è stata definita “predatoria, è avvenuto a rilento e in qualche misura all’italiana, trovando degli escamotage capaci di mitigare l’asservimento al debito delle famiglie, delle imprese e del settore pubblico.
E poi sul piano politico si è finalmente superato l’immobilismo e la grave perdita di prestigio del governo precedente, con la nascita del governo Monti la cui novità più importante è senz’altro quella di essere un governo di coalizione, fondato sulla convergenza al centro dei due maggiori partiti italiani. Per tale ragione quello che viene definito “governo tecnico” è in realtà un governo molto politico (Pd-Pdl-Udc), ed è particolarmente rappresentativo in quanto fondato sui consensi espressi da una gran parte di quelle fasce intermedie della società che, dopo il bipolarismo artefatto degli ultimi diciotto anni, vogliono tornare a contare in politica, anche attraverso il varo di una nuova legge elettorale di impianto proporzionale.
Quindi, pur riconoscendo al governo Monti la valida novità della formula politica che lo sostiene, lo stato di fretta e di necessità in cui si è trovato ad operare, e dandogli un convinto sostegno per l’obiettivo che intende perseguire per far ripartire questo Paese, non ci si può esimere dal formulare alcuni rilievi di merito.
Il primo attiene alla manovra varata lo scorso dicembre, apparsa troppo fondata su nuove tasse sui settori più deboli e su quelli produttivi, i cui effetti recessivi vanno messi in conto.
Il secondo riguarda il piano chiamato delle liberalizzazioni ma che in realtà comprende diversi provvedimenti di varia natura, alcuni molto interessanti (come la semplificazione delle procedure e la riduzione degli oneri per le società create dai giovani, che però andrebbe accompagnata da una significativa riduzione fiscale almeno per i primi anni) e di buon senso, altri discutibili e privi di efficacia, di cui si fatica a cogliere la relazione con l’urgenza di rimettere in moto l’economia. Prendiamo il caso degli orari dei negozi. Anche se tenessimo aperti i negozi 24 ore su 24 come possiamo pensare di rilanciare per questa via la domanda interna, i consumi delle famiglie, quando c’è sempre meno lavoro e rimangono sempre meno soldi in tasca da spendere? A riprova di ciò sta il fatto che anche alcuni colossi della grande distribuzione stiano chiudendo, sebbene non abbiano mai avuto problemi di orari. In particolare per i lavoratori del commercio la liberalizzazione degli orari non significa nuovi posti di lavoro o più soldi in busta paga ma solo un peggioramento degli orari di lavoro, festivo e notturno, a scapito delle relazioni familiari.
Forse anche all’interno della comunità cristiana che si prepara al grande evento dell’Incontro Mondiale delle Famiglie che ha per tema La Famiglia: il lavoro e la festa si potrebbe riflettere sul fatto che decidere di dedicare la domenica al riposo piuttosto che andare in un centro commerciale per un cristiano può significare non esporsi al rischio di un peccato sociale qual è quello di privare altri lavoratori dello stesso diritto al riposo festivo.
Risulta davvero singolare pensare che categorie come tassisti, edicolanti, commercianti, benzinai o farmacisti costituiscano un blocco all’economia. Alcune delle misure di cui si parla contribuiranno a rendere più poveri anche questi segmenti di ceto medio ponendoli alla mercé della grande distribuzione, ed umiliano il lavoro autonomo. In definitiva si ritorcono contro l’interesse collettivo.
Emblematico è il progetto di scorporo tra Eni e Snam rete gas, palesemente contrario agli interessi nazionali. Se verrà realizzato si rischia nel contempo di indebolire la capacità contrattuale dell’Eni nei confronti dei Paesi fornitori di gas e addirittura di ritrovarsi in casa i loro colossi aziendali statali (come l’algerina Sonatrach o la russa Gazprom) come proprietari della nostra rete di distribuzione del gas. Chi ci impone di compiere una simile follia, di aumentare la nostra dipendenza dai Paesi fornitori di energia, che increduli ringraziano, se non un’impostazione ideologica ultra liberista, che ha ormai fatto il suo tempo?
Alcune delle misure contenute nel decreto sulle liberalizzazioni sembrano dettate più da un dogmatismo ideologico ancora imperante che da una reale volontà di intervenire laddove è necessario: riformare il mondo finanziario e individuare i settori in cui possiamo ancora avere un futuro industriale. Per questo il governo Monti va incoraggiato a dimostrare il suo pragmatismo nell’individuare gli interventi più rispondenti agli interessi del Paese anziché ad una visione ideologica dell’economia che ha fatto il suo tempo ed ha sin qui palesato tutti i suoi limiti.
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