Persona, lavoro e democrazia: le basi di un nuovo progetto politico

Tra i numerosi spunti di discussione offerti dal nuovo libro di Stefano Fassina, «Il lavoro prima di tutto», edito da Donzelli, spicca il tentativo di mettere in relazione le trasformazioni avvenute nel mondo del lavoro, con le ripercussioni sul modello sociale e sulla stessa tenuta delle democrazie occidentali.

A mio avviso non deve trarre in inganno l’enfasi posta dal responsabile economico del Partito Democratico sul fallimento della dottrina economica neoliberista negli ultimi trent’anni. Dietro quelle che possono apparire dispute pur interessanti fra economisti si ravvisano elementi di novità, considerazioni che colgono aspetti della realtà economica e sociale generatisi in seguito al velocissimo sviluppo del commercio mondiale avvenuto tra la fine del Novecento e l’inizio del Duemila, e che l’attuale crisi economica e finanziaria non ha fatto che accentuare.

Certe constatazioni di Fassina appaiono piuttosto incontrovertibili e verificabili da chiunque. Come, ad esempio, il forte condizionamento esercitato dai grandi interessi economici e finanziari sui mass media che li induce a non dare adeguato rilievo a ciò che incide negativamente sulle condizioni di vita dei ceti lavoratori, a non documentare efficacemente il progressivo impoverimento dei ceti medi. Un’altra coraggiosa presa d’atto di un fenomeno che tutti vedono ma che pochi osano definire per quello che è, è rappresentata dalla reiterata affermazione della regressione delle condizioni di vita della maggior parte dei lavoratori e delle famiglie, che alimenta l’aumento delle disuguaglianze.

Anche qualora si abbia una prospettiva diversa da quella neo-laburista delineata da Fassina, credo sia difficile non riconoscere che il problema che egli pone riguarda tutte le culture riformiste: l’erosione dei ceti intermedi provocata da un modello economico costruito a misura degli interessi più forti genera delle serie conseguenze per la tenuta dello stesso modello democratico occidentale, che è fondato sulla centralità della classe media e dischiude dei varchi spaventosi a populismi di ogni tipo.

Per scongiurare una simile deriva e per trovare una via d’uscita dall’attuale crisi economica e finanziaria Fassina invoca la necessità di un progetto politico che poggi su categorie culturali e antropologiche distinte e diverse. Credo che questo rappresenti un punto di notevole interesse che però necessita di grande moderazione. Il problema nel PD e nello schieramento riformatore non è quello di dispensare degli attestati di ortodossia, che peraltro lascerebbero indifferenti quanti, come molti cattolici democratici, hanno una formazione politica diversa da quella della sinistra storica, bensì piuttosto quello di fondare la propria proposta su basi distinte dall’altro schieramento. Come ha detto bene in una recente intervista Piero Fassino c’è piuttosto un duplice nodo da sciogliere per il PD: quello della rappresentanza e quello della progettualità.

A me pare che su questo punto le tesi di Fassina ci ricordino una verità elementare, quanto difficile da ammettere per chi nonostante il fallimento di questi diciotto anni continua a sostenere ideologicamente un bipolarismo fondato esclusivamente sul maggioritario. Perché vi sia un bipolarismo vero, sostanziale non basta spaccare a metà l’articolato sistema politico italiano, ma occorre che vi siano visioni politiche diverse sul senso della vita sociale, del lavoro, dell’economia. Come dar torto a Fassina che questo è tanto più urgente visto il fallimento del modello economico che è stato dominante in questi anni?

I libro di Fassina, inoltre, individua nel pensiero sociale cattolico come traspare dai documenti della dottrina sociale della Chiesa un prezioso elemento fondante per una diversa piattaforma culturale e programmatica. Perché, sottolinea Fassina in esso vi è il concetto di persona che fa di ognuno un essere unico e irripetibile, e di dignità del lavoro in quanto riferito alla persona. Come recita la Laborem exercens di Giovanni Paolo II “il fondamento per determinare il valore del lavoro umano” è “il fatto che colui che lo esegue è una persona”(§6).

Ritengo che questo riferimento alla dottrina sociale della Chiesa sia del tutto legittimo, rispettoso e per niente clericale. Non si vede infatti il tentativo di tirare in ballo l’autorità della Chiesa per un progetto di parte, ma vi è piuttosto il riconoscimento della validità storica di alcune asserzioni della dottrina sociale della Chiesa. Non si comprende come questo possa impedire ad altri di evidenziare altre affermazioni della dottrina sociale in riferimento a progetti politici concorrenti con quello indicato da Fassina.

Se vi sono dei punti da chiarire questi credo riguardino piuttosto il profilo politico di questa piattaforma neo laburista. Si tratta di una operazione tutta interna alla sinistra storica italiana, in un orizzonte europeo, oppure, nello spirito che ha contraddistinto la nascita dell’Ulivo prima, e del Partito Democratico poi, si tratta di un progetto aperto ad apporti diversi? Se emergerà una connotazione plurale e popolare, allora si creeranno i presupposti per una proposta politica capace di suscitare l’interesse di una fascia molto ampia di elettorato, perché il tema del lavoro risulta ancora decisivo per la stragrande maggioranza dei cittadini.

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