Cattolici, dall’irrilevanza al progetto
Siamo in una fase di passaggio a più livelli. La crisi sta archiviando gli equilibri instaurati dopo la Seconda guerra mondiale ma siamo solo alle prime timide prove di governo multipolare del pianeta. L’Europa è l’unico livello possibile dal quale affrontare lo scompiglio provocato dalla crisi ma mancano ancora adeguati strumenti di governo democratico comunitario. Sul piano interno la seconda repubblica è fallita miseramente, ed oggi ci troviamo davanti, come rileva Carlo Stelluti, le macerie etiche, morali ed istituzionali non rimosse della prima e della seconda repubblica, penetrate nel profondo della cultura dominante, senza che siano ancora state compiute le scelte necessarie ad aprire una nuova fase.
Siamo in mezzo al guado. Ed in questa attraversata i cattolici hanno condiviso le debolezze ed il disorientamento generale, senza esercitare quel ruolo di guida nell’indicare il bene comune, che hanno saputo svolgere in altre stagioni. Si può fare di meglio, senza dimenticare tuttavia che la seconda repubblica, fondata su un modello elettorale plebiscitario, caro alla destra, se non è stata solo un monologo berlusconiano, lo si deve anche all’iniziativa di cattolici democratici come Beniamino Andreatta, Giovanni Bianchi ed altri.
Si deve dunque riprendere in considerazione l’ipotesi di un partito di cattolici, seguendo l’invito formulato sulle colonne del Corriere della Sera da Dario Antiseri, che ha rilanciato un dibattito, molto partecipato, sul ruolo dei cattolici in politica? Se si crede che il pluralismo politico dei cattolici sia un dato assodato, confermato anche dalle rilevazioni statistiche che ci dicono che il voto dei cattolici è un voto laico, che il loro voto in percentuale si distribuisce più o meno come quello della totalità dei cittadini, allora credo non si possa nutrire qualche particolare prevenzione verso una tale ipotesi. Vorrà dire che accanto a quei cattolici che militano nei vari partiti e schieramenti, ve ne saranno altri che costituiranno un partito di cattolici, secondo il modello sturziano.
Ma il partito sturziano non è solo “laico”. Esso è nel contempo “popolare” e “programmatico”, definito da un progetto.
E qui che, a mio avviso iniziano le note dolenti. Quella che Galli della Loggia ha chiamato, sempre in questo dibattito sul Corriere, l’irrilevanza dei cattolici non è che un caso particolare dell’irrilevanza della politica rispetto al potere reale della finanza cattiva, quella a vocazione speculativa, che si è verificata nel corso degli ultimi decenni con il progressivo affermarsi del “pensiero unico”.
Oggi tutti cercano di correre ai ripari, facendo prevalere prudenza e moderazione e prendendo le distanze dal modello economico e sociale ultraliberista. Addirittura c’è stato chi, come Stefano Fassina, ha indicato proprio nel pensiero sociale cattolico la fonte di un’analisi aggiornata ed attenta degli odierni problemi della democrazia e del lavoro, rimproverando semmai alle forze socialdemocratiche di aver ceduto, a differenza della dottrina sociale della Chiesa, all’idolatria del profitto che ha causato una regressione del lavoro ed una devastazione del tessuto economico e sociale senza precedenti in Occidente.
La politica sconta una debolezza progettuale che ha contagiato anche i cattolici. Per questo, discutendo di partito sturziano, occorre evitare di mettere il carro davanti ai buoi. Il partito semmai potrebbe essere l’eventuale punto di arrivo di una elaborazione ideale e programmatica. Se, invece, ci si ostina a voler cominciare dal partito, da “tortuosi disegni ed elucubrazioni politicistiche”, come ha osservato Lorenzo Gaiani, si dà adito ad una discussione che potrà tutt’al più riguardare qualche spezzone di gruppi dirigenti di organizzazioni sociali e politiche, i cui esiti potrebbero non essere molto dissimili da quelli della non felice esperienza di “Democrazia Europea”.
Al contrario, ritengo che occorra partire dai nodi politici e programmatici che agitano il presente dei lavoratori e dei ceti medi e popolari, la cui caduta mette a repentaglio il modello di democrazia.
Uno di questi nodi è rappresentato dai temi istituzionali, a cominciare dalla legge elettorale. Infatti, a legge elettorale immutata, una aggregazione di cattolici per non essere penalizzata andando da sola, finirebbe inesorabilmente stritolata tra schieramenti artificiali e disomogenei di destra o di sinistra, costruiti solo per vincere le elezioni del 2013 e non per governare. Il primo punto, indispensabile, ancorché non sufficiente da solo, è il cambiamento della legge elettorale nel segno di una maggiore rappresentatività degli interessi dei ceti intermedi, come chiedono le associazioni cattoliche del Forum di Todi. Già questa costituisce una bella discriminante perché, non solo nello schieramento conservatore, vi sono dei cattolici che appaiono ormai come gli ultimi giapponesi del maggioritario, più in sintonia su questi temi con le posizioni di esponenti della destra come l’on. Ignazio La Russa che con la normale prassi democratica vigente in tutti gli altri Paesi europei per cui il voto viene dato ai partiti anziché alla coalizione. Per non parlare della sudditanza culturale verso il modello plebiscitario di governo, i cui tratti già sperimentiamo con esiti fallimentari negli enti locali, nei quali la normale dialettica politica appare ingessata dallo squilibrio che si manifesta tra esecutivo ed organi collegiali.
Un secondo nodo su cui non è vietato esprimere delle idee ed eventuali convergenze tra cattolici è quello economico e sociale. Si tratta di capire da che parte stare: da quella degli speculatori, dalle cui opere, ricordiamocelo, nel secolo scorso sono nati i totalitarismi e le guerre mondiali, oppure, nel solco della dottrina sociale della Chiesa, dalla parte delle famiglie, dei lavoratori e delle imprese, dei popoli rovinati da una speculazione finanziaria mai così devastante. In questo senso credo che agli elettori cattolici importi meno sapere se si farà o no l’ennesimo partitino e molto più sapere se i cattolici in politica assumono come un loro obiettivo, ad esempio, per restare sempre nell’ambito degli editoriali del Corriere, la realizzazione di un protezionismo economico europeo, sostenuto da Giovanni Sartori. Una unione fiscale e doganale a livello comunitario che veda l’imposizione di dazi alle frontiere dell’UE a difesa delle produzioni che ancora si considerano strategiche per l’avvenire industriale ed occupazionale dell’Unione, ed a tutela del “lavoro decente”, di cui ahimè sembrano parlare solo i Pontefici, promuovendo l’ingresso nel mercato europeo di merci realizzate nel rispetto dei diritti dei lavoratori in ogni parte del mondo e penalizzando quelle prodotte attraverso lo sfruttamento selvaggio del lavoro e nella logica disumana e senza scrupoli della ricerca del massimo profitto.
Un terzo nodo imprescindibile per un programma politico all’altezza delle sfide di questi tempi dovrebbe riguardare la politica comunitaria e quella estera. Di nuovo i cattolici possono ritornare a guidare il progetto europeo dopo esser stati decisivi nella sua fondazione. Tra le tante proposte che si discutono per avere più Europa politica, ve n’è una piccola ma capace di generare l’embrione di partiti europei. Quella, già in discussione tra i gruppi del parlamento europeo, di riservare una minuscola quota di posti, 25 – 30 seggi, ad un collegio unico transnazionale con le liste votabili da tutti i cittadini dell’Unione.
L’obiettivo è ormai è quello di una integrazione oltre che economica, anche politica e militare. Per l’Europa nel XXI secolo sta scoccando l’ora dell’autonomia, non più tenuta, se non per scelta, ad allinearsi alle priorità dettate dagli Stati Uniti, che resteranno un alleato strategico, ma alleanze altrettanto strette e non meno importanti l’UE le dovrà consolidare con la Russia e gli altri BRICS, con l’America Latina, nella logica di una governance multipolare e di un commercio mondiale regolato, in mano agli stati e sottratto al monopolio delle centrali della speculazione finanziaria internazionale.
Se si crede in una tale prospettiva allora occorre anche iniziare a fare qualche scelta sullo scacchiere internazionale. Il ritiro immediato dell’Italia dalla guerra afghana ne è una conseguenza. Quanti politici cattolici lo vogliono o hanno il coraggio di chiederlo?
L’Iran, almeno come posizione dell’Italia espressa in seno a i 27, non può più essere considerato un pericolo, come peraltro da anni sostengono alcuni fra i massimi esperti israeliani di strategia militare. Mentre India e Cina ormai si ingozzano di petrolio iraniano l’Italia sta danneggiando il proprio interesse nazionale e gli ingentissimi interessi dell’ENI in quel Paese, peraltro riaffermati con grande dignità dal governo Monti, solo per lealtà verso gli alleati.
Il nuovo Egitto che con l’elezione del democratico-musulmano Mohammed Morsi a presidente ha compiuto un altro grande passo avanti sulla strada della democrazia non può più essere considerato alla stregua di un protettorato dell’Occidente. Spetta ai cattolici prima che ad altri, pur non ignorando i problemi spesso drammatici delle minoranze cristiane in Medio Oriente, compiere una coraggiosa apertura di credito verso quei Paesi che sul virtuoso esempio della Turchia, si avviano ad essere governati da partiti democratici di ispirazione islamica, sul modello delle democrazie cristiane europee.
Se una parte consistente di cattolici saprà, come ha scritto Roberto Mazzotta nel dibattito aperto dal Corriere, “avviare un nuovo ciclo politico, mettendo come fattore comune l’impegno per tutelare le libertà personali e collettive, far vivere una società solidale, ricostruire le condizioni dello sviluppo e del lavoro” a partire da un programma attuale e lungimirante, sul modello dell’Appello ai liberi e forti, allora si creeranno le premesse per esercitare un ruolo di primo piano sia all’interno dei partiti esistenti che eventualmente intraprendendo la strada di un partito popolare e riformista. All’uno o all’altro esito non è estraneo anche l’atteggiamento dei vetrici del Partito Democratico. Pur registrando notevoli miglioramenti dalla stagione veltroniana, tale partito appare ancora troppo oscillante tra la prospettiva di divenire un partito radicale di massa oppure un moderno partito popolare e sociale.
Questioni istituzionali, politiche economiche e sociali, politica comunitaria ed estera sono il banco di prova di quel nuovo riformismo dei cattolici che Andrea Olivero ha indicato come obiettivo in questa incerta stagione, attraverso cui si verificherà la rinnovata capacità progettuale dei cattolici italiani in politica.
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