Legge elettorale al passaggio decisivo: ma i cattolici democratici hanno una proposta?

Se, come tutto lascia supporre, la ripresa dopo la pausa estiva sarà il periodo propizio per l’intesa sulla riforma della legge elettorale, il merito di questo risultato sarà in buona parte del Capo dello Stato. Napolitano infatti con i suoi reiterati appelli a cambiare la legge elettorale ha costretto i vertici dei partiti ad assumersi le loro responsabilità di fronte al corpo elettorale che nelle ultime due elezioni è stato umiliato e defraudato dal «porcellum». Senza questa lunga opera di pressione da parte del Quirinale ben difficilmente i partiti procederebbero alla riforma di una legge che pure a parole tutti dicono di voler cambiare, ma che in fondo ammaglia tutti i gruppi dirigenti a cui offre la possibilità di disegnarsi un parlamento a loro misura.

E’ dunque il momento di mettere in campo idee e proposte che possano rendere il compromesso finale il più diverso possibile dalla legge attuale. Tali proposte non possono che scaturire da visioni culturali delle istituzioni e della democrazia. Per le culture politiche di impronta cattolico-democratica dovrebbe essere naturale la propensione verso sistemi elettorali che non distorcono la rappresentanza a vantaggio dei ceti dominanti ma che, al contrario, fotografano le dimensioni reali delle famiglie , delle organizzazioni economiche, sociali, sindacali, professionali. Solo in questo modo è assicurata la rappresentanza popolare nelle istituzioni, che non a caso viene contrastata dai paladini di quel bipolarismo artificiale e «muscolare» che abbiamo sperimentato negli ultimi diciotto anni. Si avverte l’esigenza di arrivare anche in Italia come nel resto d’ Europa dove dappertutto il voto viene attribuito al partito e non alla coalizione, ad un sistema nel quale le maggioranze si possano fare in parlamento tenendo conto delle indicazioni espresse dai cittadini attraverso il voto. Occorre saper dire basta alle investiture plebiscitarie di leader le cui maggioranze sono arbitrariamente costruite prima del voto solo sulla base del contrasto allo schieramento avversario e non su un comune programma di governo. Serve innanzitutto una svolta culturale sulla quale iniziare la costruzione di una nuova fase politica che segua al fallimento della «seconda repubblica».

Ciò che fa specie nel dibattito attuale non è la posizione della destra. E’ comprensibile che esponenti, come ad esempio l’on. Ignazio La Russa, difendano il voto di coalizione, perchè è ciò che ha sdoganato, tanto a livello nazionale che a livello locale, le componenti post-fasciste, meno comprensibile se lo fa il Pd. Così come è nell’ordine delle cose se gli ex di An difendono il premio di maggioranza che infatti è culturalmente figlio della fascistissima legge Acerbo. Meno normale, a mio avviso, se lo fa qualche esponente dell’area riformatrice.

Dalle colonne di «Agenda Domani» sin dall’anno scorso abbiamo presentato una proposta di riforma della legge elettorale, frutto di un partecipato lavoro di gruppo, e strutturato in forma scientifica dal costituzionalista Vincenzo Satta. Lo riproponiamo oggi con ancora maggior convinzione per il dibattito autunnale, che avrà un momento significativo anche nell’incontro di studi delle Acli ad Orvieto a settembre.

Nella speranza che almeno dal variegato mondo cattolico democratico parta una forte iniziativa volta a rafforzare la forma parlamentare della democrazia italiana, sbarrando definitivamente la strada ai tentativi intrapresi nella «seconda repubblica» di radicalizzazione populista ed autoritaria della vita politica, il cui principale risultato è stata una incredibile marginalizzazione dei ceti medi e lavoratori dalla scena politica proprio nel momento del loro massimo bisogno di rappresentanza, dovuto all’impoverimento provocato dalla crisi.

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