Le Eminenze e la “Dossessione”
Il giovane storico Enrico Galavotti ha coniato il neologismo “dossessione” per designare quel curioso fenomeno interno a certi settori della Chiesa italiana per cui la memoria di Giuseppe Dossetti costituisce una vera e propria ossessione, una sorta di fantasma di Banquo in veste monastica che si presenta periodicamente negli incubi di settori gerarchici i quali onorano con le labbra la memoria dell’evento conciliare ma sono terrorizzati dall’idea di quella “riforma nella continuità”che pure il Papa pone come corretta ermeneutica del Vaticano II e che Dossetti incarnò con coerenza.
Talvolta, ha rilevato Alberto Melloni, la “dossessione “ si manifesta attraverso attacchi livorosi ed inconsulti, talvolta attraverso la rimozione. Di quest’ultimo metodo è interprete preclaro il prof. Giuseppe Della Torre, giurista di obbedienza pontificia (fu lui a presiedere il processo al maggiordomo Paolo Gabriele per la sottrazione dei documenti riservati poi pubblicati da Gianluigi Nuzzi, ad una velocità tale da far pensare che scopo di quel procedimento fosse quello di arrivare ad una conclusione purchessia e non l’accertamento della verità e magari dei mandanti altolocati dello sprovveduto domestico) , che in un paper per un seminario del cosiddetto “Progetto culturale” della CEI – un testo semiclandestino, quindi…- si dilunga per pagine e pagine sul progetto costituzionale della DC elaborato da Guido Gonella e poi silenziosamente accantonato da De Gasperi per il suo impianto oggettivamente integrista. Orbene, discettando in diverse cartelle di Costituente e Costituzione il Della Torre fa una sola volta il nome di Giuseppe Lazzati e mai quello di Dossetti. Sarebbe come parlare del Vaticano II senza fare mai il nome di Giovanni XXIII (ma arriveremo presto anche a questo, o forse semplicemente del Vaticano II non si parlerà più).
Ma gli attacchi più livorosi nell’ultimo periodo sono arrivati da una fonte inaspettata, ossia da colui che per gli ultimi tredici anni della vita di Dossetti fu il “suo” Vescovo, l’arcivescovo emerito di Bologna card. Giacomo Biffi. Recentemente infatti il porporato ha pubblicato una specie di plaquette in cui rielabora alcune pagine delle sue memorie, date alle stampe qualche tempo fa, in cui si dilunga su Dossetti, sulla sua figura, sul senso della sua presenza nella Chiesa e nella società, svelandosi come un “dossessionato” a tutto tondo. In sostanza egli rimprovera a Dossetti di non avere avuto un solido retroterra teologico, di avere giocato al Concilio un ruolo improprio e di avere, in sostanza, contribuito al malessere crescente del cattolicesimo italiano introducendovi elementi estranei alla sua tradizione.
E’ a dir poco singolare un atteggiamento del genere da parte del Vescovo che a Dossetti e alla sua comunità monastica affidò impegnative “diaconie”, a partire da quella della custodia dei luoghi dell’eccidio di Monte Sole , e che sul feretro di Dossetti, nel dicembre del 1996, pronunciò parole degne ed alte. Vi è chi ipotizza che da parte del card. Biffi vi sia stato un crescendo di incomprensione dovuto proprio al radicalizzarsi di certe sue vedute conservatrici, peraltro note a chi seguisse lo sviluppo del suo pensiero, dove un certo tono lieve mascherava a stento la mancanza di originalità ed il conformismo di fondo. Vi è anche chi dice che il Cardinale non abbia gradito le parole ed i toni con cui il suo successore sulla cattedra di San Petronio, il card. Carlo Caffarra, ha aperto nel febbraio dello scorso anno le celebrazioni per il centenario della nascita di Dossetti (che cade in questo 2013) riconoscendo la validità e l’importanza del suo carisma di sacerdote e di monaco.
Sia come sia, nella sua fin troppo lunga reprimenda Biffi è anche riuscito ad inanellare una notevole gaffe nel momento in cui ha attribuito a Dossetti , censurandola, l’espressione “alleanza mai revocata” fra Dio ed il popolo d’Israele, che invece era stata pronunciata da Giovanni Paolo II in un discorso alla sinagoga di Magonza nel 1980. Una svista non da poco per un presule che è sempre passato per un “wojtyliano di ferro” e che in realtà con il Papa polacco polemizzò anche lui vivente, come quando prese le distanze dal famoso “mea culpa” per i peccati della Chiesa durante l’Anno santo 2000.
Ma la questione si è ingigantita, almeno a Bologna, quando il card. Biffi ha preteso che venisse pubblicata sull’inserto felsineo di “Avvenire” una lettera inviatagli dal card. Giovanni Batttista Re, Prefetto emerito della Congregazione dei Vescovi, che si congratulava con lui per il suo scritto, ed aggiungeva un carico pesante , apprezzando “quanto Vostra Eminenza. ha scritto circa le lacune e le anomalie della «teologia dossettiana». Condivido pienamente le riserve e quanto riguarda il breve periodo in cui don Dossetti (per iniziativa del cardinal Lercaro) fu segretario dei quattro Moderatori del Concilio, usurpando la competenza che il Regolamento attribuiva a monsignor Pericle Felici, Segretario generale del Concilio. Anche sul piano politico, non possiamo dimenticare i dispiaceri che Dossetti procurò a De Gasperi. “
L’impressione penosa suscitata da questo scritto -che sarebbe stato meglio rimanesse noto solo ai due corrispondenti – oltreché dalla nota redazionale introduttiva che pareva avallarne i contenuti, ha irritato, e giustamente, molti lettori, sacerdoti e fedeli bolognesi e non solo, al punto che sul numero successivo il periodico riportava una lettera indignata di don Athos Righi, attuale superiore della comunità monastica , che una volta per tutte precisava (appoggiandosi all’autorevole testimonianza dell’ultimo Padre conciliare italiano vivente, mons. Luigi Bettazzi, allora Vescovo ausiliare di Bologna) le funzioni che Dossetti occupò al Concilio furono determinate non da una sua volontà di “usurpare” alcunché, ma da una precisa richiesta che gli venne dal suo Vescovo, il card. Giacomo Lercaro, e che del resto era nota allo stesso Paolo VI. La redazione a questo punto doveva precisare che aver pubblicato la lettera del card. Re non significava condividerne i contenuti, ma la frittata evidentemente era già fatta.
Quel che fa più sorridere di questa amara faccenda – al netto della scarsa eleganza dimostrata dal card. Biffi facendo pubblicare una lettera privata- è il cenno del card. Re ai “dispiaceri” che Dossetti avrebbe dato a De Gasperi: è comprensibile, infatti, che un presule che ha vissuto quasi tutta la sua vita sacerdotale ed episcopale in quel bell’ambiente descritto dagli incartamenti pubblicati dal succitato Nuzzi , fatto di felpate perfidie e di giochi di palazzo tipici di una monarchia assoluta, fatichi a comprendere una dialettica di alto livello come quella che si sviluppo fra due personalità di eccezione, appunto De Gasperi e Dossetti, in un contesto di libero dibattito democratico.
Un pensiero sorge spontaneo: se tale libertà di dibattito fosse merce corrente in Vaticano e nell’insieme della comunità ecclesiale, non ne guadagnerebbe la salute delle anime e dei corpi e più in generale la causa del Vangelo?
Forse su questo Dossetti avrebbe ancora molto da insegnare.
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