Le Acli voltano pagina
Il 26 gennaio scorso il Consiglio nazionale delle ACLI ha eletto Presidente nazionale Giovanni Bottalico, già Presidente provinciale delle ACLI milanesi, che sostituisce Andrea Olivero, il quale, come è noto, aveva abbandonato anzitempo l’incarico per candidarsi come capolista della Lista Monti al Senato in Piemonte.
Con l’elezione del Presidente e della Presidenza le ACLI hanno quindi chiuso la crisi ai vertici che si era manifestata anche prima delle dimissioni formali di Olivero, visto l’oggettivo malessere che si era creato nel momento in cui l’allora Presidente , uno degli esponenti di maggior spicco del “Gruppo di Todi”, aveva manifestato sempre più la sua propensione ad una scelta politica a favore del rassemblement centrista che si stava radunando intorno all’attuale Presidente del Consiglio.
Non è un caso che le prime parole di Bottalico da neo Presidente siano state rivolte all’attualità, nell’imminenza di cruciali appuntamenti elettorali politici (e regionali, compresa la regione di origine del nuovo Presidente). Gianni Bottalico ha rivolto la sua attenzione al Paese offrendo una lettura dell’attuale situazione: “L’Italia vive giorni di bufera: noi ben lo sappiamo, perché viviamo tra la gente e ci accorgiamo delle difficoltà dei nostri concittadini. Non ci sottrarremo al nostro compito, staremo anche nella “bufera politica” di questi giorni rivendicando la nostra autonomia e il nostro pluralismo”.
E per resistere alla bufera occorre un saldo timone. Per Gianni Bottalico è la “responsabilità” a dover accompagnare l’azione di governo delle ACLI: “Governare nella bufera è la vera sfida di oggi, che ci chiama ad un serio impegno per il futuro. Questo significa fare delle scelte di responsabilità più che di protagonismo. Responsabilità significa saper rispondere a chi ci ha preceduto, alla memoria e alle fatiche compiute dai nostri padri, ma anche a chi verrà, ai nostri giovani e ai nostri figli”.
E le ACLI del futuro, nelle intenzioni del loro nuovo presidente sono un punto di riferimento per la comunità, attente alla politica e al lavoro, vicine alla fasce deboli della popolazione, capaci di lavorare dall’interno per il Paese e di guardare all’Estero: “Vogliamo ACLI più orientate verso la comunità, perché viviamo in un Paese in cui si sono sciolti i legami materiali e simbolici e c’è bisogno di ricostruire reti di relazioni e di senso; vogliamo ACLI attente ad una politica che riconquisti la sua dimensione sociale e lavorativa; vogliamo ACLI che sanno essere un punto di riferimento per i problemi delle donne e degli uomini che lavorano; vogliamo ACLI aperte ai giovani, alle donne, agli stranieri, alle famiglie; ACLI più locali e allo stesso tempo più internazionali”.
Del resto, nel dicembre scorso la Direzione nazionale delle ACLI ancora presiedute da Olivero aveva scritto con estrema chiarezza che vi è “ la necessità che si giunga ad un’ampia convergenza di forze politiche e di nuove energie della società civile per garantire che, nella continuità al percorso di ricostruzione del Paese intrapreso dal governo Monti, si costruisca una agenda sociale, in grado di assicurare equità, solidarietà verso i più deboli e un forte impegno per la pace e disarmo che sono mancate in questi mesi. Verso questi obiettivi l’associazione sostiene e accompagna ogni sforzo volto ad assicurare forme di nuova o rinnovata partecipazione civica e democratica, fermo restando che ogni impegno specifico a livello politico rimane nelle responsabilità dei singoli associati e dirigenti che ritengono giusto impegnarsi in tal modo al servizio del bene comune, nei limiti indicati dallo Statuto delle ACLI.”.
Nello stesso tempo in quel documento le ACLI ribadivano la loro “scelta riformista, convinte che solo attraverso un’alleanza sociale dei soggetti del mondo del lavoro e un articolato e serio disegno di riforme sarà possibile dare continuità alle conquiste sociali ottenute a caro prezzo dai lavoratori nei decenni passati ed insieme garantire quanti oggi sono senza sufficienti tutele.”
Ma le ACLI non sono soltanto le loro scelte politiche, pur importanti: sono anche un’ampia varietà di servizi e di imprese sociali e cooperativistiche che toccano molti aspetti della vita delle persone – dalla formazione professionale all’abitazione, dalla cooperazione sociale alle pratiche fiscali e pensionistiche- costituendo così una sorta di “vetrina” dell’Associazione, un’espressione dell’attività che da quasi settant’anni (le ACLI furono fondate nell’agosto del 1944 nella Roma appena liberata, mentre al Nord infuriavano ancora la guerra e la lotta di liberazione nazionale) ha portato questo movimento di lavoratori cristiani ad aderire ai bisogni più profondi della vita sociale.
E’ da chiedersi, tuttavia, se il complesso delle attività di servizio e di impresa sociale esaurisca la mission (come suol dirsi) delle ACLI, ovvero se esso sia il necessario supporto a quell’attività di ricerca e di intervento nella dimensione sociale e politica che costituiscono uno degli elementi portanti della storia del Movimento aclista nei suoi momenti più alti legati a figure di dirigenti come Livio Labor, Domenico Rosati e Giovanni Bianchi. Un ruolo, quello delle ACLI, che si situò nella prima linea delle vicende del movimento dei lavoratori italiani, e che spesso non fu scevro di malintesi e di frizioni sia in ambito ecclesiale sia in quello politico.
Sotto questo profilo Bottalico che, da Presidente delle ACLI milanesi, fu il promotore di quaderni sulle vicende amministrative della metropoli lombarda sotto l’aspetto urbanistico, sociale e della mobilità, e che commissionò agli studiosi dell’Università cattolica un interessante studio sui “ceti medi popolari” come vere vittime della crisi economica e sociale, appare come la persona più indicata per mantenere le ACLI in quel costante equilibrio fra pratica sociale e capacità di analisi e proposta politica che ne hanno segnato le fasi migliori a servizio della comunità ecclesiale e di quella civile.
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