Papa, pedofilia, comunicazione e diritto. Ma il vero nodo è la riforma della Chiesa
La triste cronaca di queste settimane porta alla ribalta numerose questioni attinenti alla responsabilità di sacerdoti cattolici in merito agli abusi di cui (ormai non vi è alcun dubbio) sono state vittime numerosissimi giovani e fanciulli. Vi sono innanzi tutto, ovviamente, questioni etiche e morali, che altri hanno affrontato in varie sedi.
Sorgono poi questioni di immagine, anche queste discusse sui mezzi di comunicazione. Esse pongono a loro volta il problema del modo assolutamente inadeguato con cui la Chiesa è parsa rispondere alle critiche. Non vi sono stati solamente, infatti, i paragoni con la persecuzione degli ebrei e le molte parole sopra le righe di portavoce e vescovi, ma anche più in generale un ‘gioco di rimessa’, una percepita incapacità di prendere il toro per le corna e affrontare davvero, limpidamente e con attenzione le preoccupazioni di credenti e non. A questo proposito, si può solo aggiungere che ogni richiamo, anche implicito, ad una persecuzione dei cattolici da parte dei media o della massoneria o di una lobby ebraica, oltre che essere sconfitta in partenza, è particolarmente dannosa per l’impressione di autoassoluzione che offre, all’interno della Chiesa stessa e al di fuori di essa. Per non parlare dei parallelismi fra omosessualità e pedofilia… Una Chiesa anche solo in parte attenta al mondo della comunicazione e alla percezione che il mondo ha di essa, infine, avrebbe compreso in anticipo il rischio di citare statistiche in materia di violenza sessuale per dimostrare che il pericolo nella Chiesa sarebbe minore che in altre comunità. La comunità dove la violenza sessuale è particolarmente endemica, infatti, è la famiglia tradizionale – proprio quella che la Chiesa si è distinta per proteggere negli ultimi anni…è evidente che la soluzione non sta nel fare sociologia o psicologia spicciola.
Dal punto di vista giuridico, però, vi sono questioni altrettanto importanti e potenzialmente imbarazzanti sollevate dalle violenze. È di pochi giorni fa la notizia che due famosi avvocati britannici in materia di diritti umani, Mark Stephens e Geoffrey Robertson, intendono fare causa al Papa per le sue (presunte) responsabilità in materia di pedofilia. A prima vista, questo passo potrebbe apparire estremo e innocuo.
Il Papa gode di immunità come capo di Stato della città del Vaticano (o della Santa Sede, a seconda delle teorie – ma non stiamo a sottilizzare). I capi di Stato hanno storicamente goduto, sulla base del diritto internazionale, di immunità assoluta nello svolgimento delle proprie funzioni. Immunità che si estende dunque agli atti che essi avrebbero compiuto prima di accedere alla carica in questione. (Nel caso di un Capo di stato a vita, ovviamente, si pone il problema del fatto che l’immunità è di fatto perpetua, ma di questo il diritto internazionale non si occupa…). L’unico caso in cui l’immunità cede è per crimini contro l’umanità o altri crimini di questo genere, almeno di fronte a tribunali penali internazionali.
Ma per quali comportamenti potrebbe essere chiamato in causa il Papa? Gli avvocati ipotizzano che egli abbia potuto facilitare la commissione di atti di pedofilia da parte di sacerdoti cattolici, ad esempio promuovendo una politica di non collaborazione con le autorità civili – la quale oggettivamente avrebbe reso più semplice la commissione dei reati, poiché il singolo sacerdote pedofilo avrebbe avuto meno da temere in caso di scoperta. Non conosciamo ancora i fatti per poter giudicare su questa ipotesi, assai allarmante. Ad oggi conosciamo solamente le istruzioni emesse nel 1993 (e prima?) che sembrano effettivamente obbligare i sacerdoti e i vescovi ad una completa e leale collaborazione con le autorità civili.
Diciamolo chiaramente: per molte ragioni il passo degli avvocati britannici non porterà probabilmente alle conclusioni che essi sperano. L’ipotesi che al Papa non venga riconosciuta l’immunità, e che alle condotte criminali di preti e (se dimostrate) di settori della Chiesa sia affibiato lo stigma del crimine contro l’umanità, è probabilmente ipotesi fantasiosa.
Ciononostante, non si può negare che la possibilità di una causa intentata contro il Papa pone alla Chiesa tutta una serie di questioni di vitale importanza. In primo luogo, l’autorità del pontefice in una società secolarizzata come la nostra. È evidente che l’autorevolezza morale (prima ancora che l’autorità giuridica) della Chiesa e del pontefice va vieppiù ridimensionandosi. Questo è inevitabile, nonostante i tentativi, spesso maldestri, di molti esponenti della Chiesa, in Italia (ma non solo). Come vivere tale ridimensionamento è una sfida cui la Chiesa tenta di sottrarsi, forse inutilmente. In seconda battuta, si pone la questione dell’organizzazione stessa della Chiesa al proprio interno – in particolare il ruolo delle donne. Chi infatti può credere che la risposta a questo vero e proprio scandalo non sarebbe stata diversa se vi fossero state anche donne nei centri di potere in Vaticano e nelle Conferenze episcopali nazionali? Non è plausibile ritenere che la sintesi fra uomini e donne avrebbe prodotto una politica di maggiore attenzione ai singoli drammi piuttosto che al timore dello scandalo? Sembra inutile sottolineare che, in un campo come quello della pedofilia, un controllo ‘diffuso’ da parte dei credenti e una trasparenza in merito ai comportamenti e alle direttive avrebbero probabilmente evitato se non molti reati, almeno l’impressione che vi fosse qualcosa di ‘opaco’ nella gestione dei sospetti e degli imputati… Ma, più in generale: non sarebbe necessario un ricambio di strutture e modalità di organizzazione interna nella Chiesa del ventunesimo secolo? Quale grado di apertura al mondo è opportuno prevedere, specie in merito all’accesso dei credenti ai processi decisionali, alla gestione delle risorse (anche economiche), alle nomine a tutti i livelli? Tali questioni, anche se non sembra, sono evidentemente collegate ai modelli di responsabilità decisionale e alla loro attuazione concreta all’interno della Chiesa e non sono più eludibili.
Guido Acquaviva
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