Monsignor Padovese, dietro la scena del delitto

La vicenda dell’orrendo omicidio di mons. Luigi Padovese, Vicario apostolico per l’Anatolia, è rimasta per pochi giorni sulle prime pagine dei giornali, ed apparentemente non sembra aver lasciato particolari strascichi, sebbene si sia trattato di un fatto gravissimo, l’uccisione di un Vescovo cattolico in terra musulmana, che replicava a quattro anni di distanza quello di don Andrea Santoro nella medesima terra turca.
La stessa Santa Sede, pur manifestando l’ovvio dolore e sdegno per l’omicidio del Vescovo francescano, ha scelto di dare un basso profilo all’intera vicenda, e i funerali solenni celebrati dal card. Dionigi Tettamanzi, sono sembrati una sorta di risarcimento, sebbene i neo-con nostrani, evidentemente ringalluzziti dallo spirito di crociata che sembra animare le loro menti meschine, abbiano subito gridato allo scandalo di una Chiesa che non sa nemmeno rivendicare la morte dei suoi martiri per mano della perversione islamica.
In effetti, le indagini che la polizia turca sta compiendo con grande riservatezza, pare che il giovane omicida , fedelissimo autista di mons. Padovese, che in un primo tempo era stato indicato come un convertito e poi come un mentecatto, fosse in realtà sano di mente ma tanto fanatico da invocare Allah al momento di uccidere il Vescovo, ed è quindi stato facilissimo appiccicargli la comoda maschera del terrorista, del piccolo Osama che ha commesso un omicidio rituale.
Ma veramente le cose stanno così? Non è possibile che la prudenza vaticana, oltre che a non alienare i rapporti fra il sospettoso Governo di Ankara e la piccola minoranza cattolica che vive in Turchia, sia dettata dalla percezione che dietro al barbaro crimine vi sia qualcosa di più complesso ed indefinibile.
Innanzitutto la tempistica: l’omicidio Padovese si è collocato esattamente a metà fra l’assalto delle navi da guerra israeliane alla flottiglia dei pacifisti diretta a Gaza ed il viaggio di Benedetto XVI a Cipro. Il primo episodio, un atto feroce ed inconsulto che ha provocato un certo numero di morti ed un violento discredito nei confronti della politica sempre più repressiva del Governo di Tel Aviv nei confronti dei palestinesi e di chiunque condivida la loro causa, è stato tale dal far venir meno molte delle simpatie tradizionali verso lo Stato ebraico, soprattutto negli USA, unico vero alleato che abbia sempre garantito il diritto di Israele all’esistenza spesso tollerando e coprendo le non poche prepotenze da essa compiute sia verso gli Stati vicini sia verso la popolazione palestinese.
Il secondo viaggio, cui il Papa e la Santa Sede annettevano molta importanza, era finalizzato a cercare la via di una soluzione alla ormai trentennale divisione dell’isola, la cui parte settentrionale, a grande maggioranza turcofona, si è proclamata in Stato autonomo riconosciuto tuttavia solo dalla Turchia, laddove il resto della comunità internazionale continua a riconoscere come unico rappresentante dell’isola la Repubblica grecofona del sud (ma bisogna ricordare che la ribellione dei ciprioti turchi nel 1974 fu dovuta al colpo di Stato manovrato dal Governo dittatoriale della Grecia, appoggiato dagli USA, per imporre sull’isola un Governo di proprio gradimento).
Il viaggio a Cipro si può considerare riuscito a metà per il Pontefice, dal momento che alcuni esponenti della Gerarchia ecclesiastica ortodossa hanno rifiutato di incontrarlo, e che i previsti incontri con le autorità civili e religiose della Repubblica turcofona non si sono potuti svolgere. Tuttavia in quella sede il Papa ha reso noti i lineamenta del Sinodo straordinario sul Medio Oriente che si svolgerà nel prossimo autunno. In quel testo sono contenute alcune notevoli affermazioni: naturalmente si esprime preoccupazione per la crescente aggressività di alcuni gruppi islamici nei confronti delle minoranze cristiane, spesso indotte ad abbandonare i loro storici territori di appartenenza per emigrare all’estero al fine di evitare il peggio ( come sta accadendo in Iraq, conseguentemente alla folle guerra voluta da Bush e dai neo – con).
Ma in quel testo vi è anche una chiara condanna dell’occupazione israeliana come una delle principali cause della instabilità ed insicurezza della regione, come pure vi è un netto ripudio dell’ideologia, così cara alla destra religiosa statunitense, di una sorta di ruolo “mistico” del sionismo in una prospettiva escatologica .
Che c’ entra con questo l’omicidio Padovese? L’attuale Governo turco guidato da Tayyip Erdogan sta cercando di qualificare lo Stato anatolico come una potenza regionale, mentre nello stesso tempo cerca di recuperare un ruolo pubblico alla religione islamica che il duro laicismo di Kemal Ataturk e dei suoi successori, dopo la caduta dell’ Impero ottomano, aveva relegato in una posizione ancillare. La protezione accordata dagli attuali governanti turchi al movimento di liberazione palestinese, e il tentativo, d’intesa con il Brasile di Lula, di trovare una via d’uscita al contenzioso fra l’Iran e la comunità internazionale, hanno messo in crisi il rapporto di collaborazione che esisteva da molti anni fra la Turchia (ed in particolare il suo esercito, che si vuole custode dell’eredità kemalista e da sempre in ottimi rapporti con le forze armate ed i servizi segreti statunitensi) e lo Stato di Israele, che l’inconsulta decisione israeliana di sparare sulle navi pacifiste che battevano bandiera turca uccidendo cittadini turchi ha definitivamente compromesso.
Mettere insieme i tasselli di questa vicenda, come pure quelli dell’ uccisione di don Santoro (anch’essa attribuita ad uno sprovveduto adolescente diventato rapidamente un “fanatico islamico” ad opera dei propagatori della disinformazione internazionale), è utilissimo per capire come il riserbo e la prudenza del Vaticano di fronte ad un fatto pur gravissimo come l’uccisione di mons. Padovese siano ben giustificati, piaccia o meno ai banditori (peraltro in malafede) di nuove crociate.

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