Famiglia, parliamone seriamente

C’è da sperare che l’opportunità offerta dal Congresso mondiale delle famiglie di Verona non venga sprecata, perché quell’assise può essere l’occasione per parlare finalmente dei problemi della famiglia nella società di oggi. Purtroppo vi è il serio rischio che si alimenti una contesa ideologica di nessun interesse: da una parte i difensori della famiglia tradizionale, chiusi verso qualsiasi altra forma di convivenza, dall’altra chi pensa che il classico nucleo familiare, composto da padre, madre e figli, sia un residuo del passato e che l’avvenire sia unicamente targato Lgtb. Il bello, o meglio il brutto, della faccenda e che queste assurde contrapposizioni lasciano poi le cose esattamente come prima e la famiglia nel nostro Paese continua ad essere trascurata da tutti. Non stupiamoci poi se siamo al fondo delle classifiche della natalità.

Sulla crisi demografica giocano ovviamente anche parecchi fattori culturali ma è un fatto che in Italia la natalità viene quasi scoraggiata, mentre in altri Paesi, come Francia, Germania o Stati scandinavi, le cose vanno decisamente meglio e si tratta di nazioni dove, oltre a far più figli, le donne partecipano in maggior numero al mercato del lavoro. Perché famiglia e lavoro sono due temi (esattamente come ambiente e sviluppo) che è assurdo porre in antitesi, ma che vanno piuttosto promossi in parallelo con appropriate scelte politiche.

Per avviare una vera politica familiare sono due i fronti lungo cui muoversi: i servizi e la fiscalità. Serve innanzi tutto una più ampia e capillare rete di asili nido. L’Unione europea ritiene si debba giungere ad una copertura di almeno il 33 per cento dei bambini (in pratica un terzo del totale), ma noi, specialmente al Sud, siamo ben sotto questa soglia, già di per sé alquanto bassa. Poi vi è tutta la partita della conciliazione tra tempi di lavoro e della famiglia che va rivolta ad entrambi i genitori, in una logica di una maggior corresponsabilità. Per quanto riguarda la fiscalità, di certo la leva più potente, gli esempi non mancano.

In Francia, da decenni, funziona con buoni risultati il quoziente familiare: il reddito conseguito viene diviso per il numero dei figli a carico e le imposte si pagano solo sull’imponibile così ridotto. E un buon meccanismo col difetto però di agevolare i redditi più elevati, in quanto le porzioni del loro quoziente familiare sono maggiori rispetto ai redditi più bassi. In alternativa vi è il fattore famiglia costituito da una dote annua in funzione del numero dei figli che viene dedotta dal reddito conseguito.

Si può immaginare una deduzione di 400 euro mensili per il primo figlio (per un montante annuo di 4.800 euro); di 700 euro per due figli (8.400 euro annui); di 1,000 euro per tre figli (12.000 euro annui) e così via, aumentando la deduzione di 200 euro mensili per ogni figlio in più. Per una prima stima del suo costo, si parte dalla platea degli 11 milioni di famiglie con figli, da rapportare ad un tasso medio di natalità di 1,6 figli per donna. Ne risulta grosso modo una deduzione per ciascuna famiglia di 7mila euro annui che considerando un’aliquota media del 30 per cento annui, significa una perdita di gettito di 2.100 euro. Sul numero complessivo di famiglie il costo totale del nuovo assetto giunge, approssimando per eccesso, a 23 miliardi annui. Una cifra notevole, ma non impossibile; da coprire con altre entrate di diversa natura e con una generale revisione della nostra spesa.

E’ chiaro che qui siamo di fronte ad una sorta di rivoluzione del nostro intero ordinamento tributario, lungo un percorso di valorizzazione della natalità. Molte risorse potranno essere recuperate mandando in soffitta la flat tax che, oltretutto, favorisce solo i ceti più abbienti e indebolisce la progressività fiscale. Sara poi necessario reintrodurre una più elevata imposta di successione, la cui quasi totale abolizione è anche una delle cause dell’aumento delle disuguaglianze. Si tratterà infine di ripensare del tutto l’imposizione immobiliare, partendo da una preliminare riforma catastale che renda più equa la tassazione in base ai reali valori degli immobili e in seguito applicando l’imposta in maniera generalizzata senza alcuna franchigia per la prima casa.

Stiamo ovviamente parlando di scelte difficili e gravose, ma altrettanto indispensabili se si vuole affrontare sul serio la questione della natalità. D’altronde le grandi nazioni sono quelle che sanno concepire e perseguire grandi obiettivi generali, sacrificando a questi, almeno in parte, privilegi individuali o egoismi di singole categorie. Serve una classe politica all’altezza della situazione e, di sicuro, dei cittadini che lo siano altrettanto.

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