Vademecum per il 27 maggio.

Si parla molto e da tempo, come tutti sanno, di un partito che decollerà dopo il voto del 26 maggio. E cioè, per essere più esplicito, di un partito riformista, plurale, di governo e profondamente democratico. Ovvero, di un partito che esprime il pensiero, la cultura e la tradizione di centro del nostro paese. Una richiesta sempre più forte e pressante che emerge da molti settori. Anche da coloro che sono stati per lunghi 25 anni – l’intera stagione politica maggioritaria – feroci ed implacabili detrattori di ogni politica e cultura di centro che si stagliava all’orizzonte. Ma adesso il contesto è cambiato. E anche profondamente. E’ tornato il sistema proporzionale e, di conseguenza, sono tornate le culture politiche. E’ finalmente arrivata una destra che, senza propaganda e senza caricature carnevalesche patrocinate dai circoli salottieri ed alto borghesi dei “progressisti” nostrani, non c’entra nulla – come tutti sanno – con l’avvento del fascismo o baggianate del genere. Sta tornando la tradizionale sinistra post comunista capitanata dal compagno Zingaretti, seppur tra molto contraddizioni perché il nuovo Pd/Pds pensa ancora di essere un partito a “vocazione maggioritaria” seppur in un contesto proporzionale. E’ appena sufficiente ascoltare la giaculatoria quotidiana di un partito che ha compilato le liste alle europee da Calenda a Pisapia per rendersene conto. Al contempo, resiste il partito populista e antisistema dei 5 stelle. E, accanto a questi elementi strutturali della nuova geografia politica italiana, non possiamo dimenticare, dopo l’esperienza del governo giallo/verde, la pesante e nociva radicalizzazione della lotta politica. Di fronte ad un quadro del genere, non può non rinascere una forza che ha nel suo dna originario alcuni elementi indispensabili per ridare qualità alla nostra democrazia e fiducia nelle stesse istituzioni democratiche: dalla cultura della mediazione alla cultura di governo, dalla ricetta riformista al senso dello Stato, dalla capacità di battere la radicalizzazione della lotta politica alla intelligenza e saggezza di saper comporre gli interessi contrapposti. Insomma, per dirla con una parola impegnativa ma comprensibile, per tornare alla vera e alta politica. Ma, se si vuol perseguire questo disegno politico – che viene ormai invocato e auspicato dai suoi stessi storici detrattori – occorre mettere in campo quel celebre trittico che i nostri maestri, almeno quelli che hanno contribuito a qualificare la tradizione cattolico democratico e popolare del nostro paese, ci hanno sempre insegnato. Ovvero, declinare un pensiero e una cultura politica; tradurlo con un partito politico e, in ultimo, mettere in campo una organizzazione efficace e capillare. Il tutto per evitare di predicare nel deserto da un lato e limitarsi a giocare un ruolo puramente testimoniale dall’altro. Ecco, il 27 maggio si avvicina. A prescindere dai risultati elettorali che, come tutti ben sappiamo, non saranno molto diversi da ciò che quotidianamente sfornano i vari sondaggi. Ma è bene essere, già sin d’ora, consapevoli di quello che noi dovremmo fare dopo il 26 maggio. Per evitare di doverlo ripetere. E per l’ennesima volta.

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