Stragi e misteri d’Italia: chi sa, parli

Sono grato a Umberto Ambrosoli per quanto ha scritto nei giorni scorsi sul “Corriere della Sera” a commento delle conclusioni di sostanziale impotenza a cui sono giunti i giudici di Brescia a proposito della strage di Piazza della Loggia, dopo oltre 36 anni. “Chi sa, parli”, chiede Ambrosoli. E si augura che il custode di quei segreti (ma il discorso si può e si deve allargare agli altri misteri d’Italia) voglia evitare di cadere in quella solitudine della coscienza che prenderà la sua anima quando il peso del male (commesso, o almeno tollerato e coperto) diventerà insopportabile.

Abbiamo conosciuto i terroristi pentiti, i pentiti di mafia. Certo, di norma si è trattato di un accordo con lo Stato, rivelazioni in cambio di sconti di pena. Eppure vite sono cambiate, mani si sono strette, colpe sono state riconosciute.

Non conosciamo “politici pentiti”. Ai tempi del “caso Gladio” il presidente Cossiga fece “outing” spiegando che durante la “guerra fredda” avvennero cose “borderline” rispetto alle pratiche democratiche, ma fu sostanzialmente giustificazionista, non sembrò tormentato dai dubbi. C’è da sperare che abbia lasciato appunti utili a riaprire pagine nere della Repubblica, così come speriamo stia facendo Giulio Andreotti, data anche la sua passione per i “diari”. Ovviamente ci sono tanti altri esponenti politici che – come si suol dire – “non possono non sapere”.

Ho sempre avuto molta ammirazione per il “metodo Sudafrica” inventato dopo la fine dell’apartheid. Si disse: in un processo di solito il colpevole tende a proteggersi, a negare; noi non vogliamo questo. E si decise di concedere un’amnistia a chi diceva il vero, a chi si assumeva le proprie colpe e raccontava a tutti ciò che aveva fatto. A stabilire se ciò che veniv raccontato corrispondeva a verità, sono state le stesse vittime se sopravvissute o le loro famiglie. L’amnistia è stata concessa solo se il reato aveva avuto motivazioni politiche, non per motivazione personale o per crimini comuni. Il colpevole ha potuto godere dell’amnistia solo con una confessione piena e totale e con la massima accuratezza ha dovuto raccontare di ogni persona uccisa e di ogni crudeltà effettuata… Questo si chiama pentimento in un senso più pieno e serio.

Non ci illudiamo. Ci basterebbe l’apertura di archivi, la pubblicazione di memoriali, l’ascolto – finalmente – di parole di verità.

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