Plastica e specie invasive minacciano i nostri mari
La plastica sta soffocando i nostri mari. Attraverso scoli, fognature e canalizzazioni, ogni singolo frammento di plastica abbandonato, non biodegradabile e quindi virtualmente indistruttibile, finisce nei fiumi, che fatalmente lo trasportano al mare. Il fenomeno è particolarmente rilevante nelle acque orientali e nel Pacifico, dove si riversano i rifiuti trasportati dai grandi fiumi asiatici, i quali a loro volta li raccolgono nelle varie megalopoli del continente più popoloso del pianeta. Ma anche il Mediterraneo, il mare nostrum, soffre di questa forma di inquinamento in maniera diffusa e crescente. Un problema che dovrebbe spronarci ad agire in sua difesa, mentre pare che la cosa non riscuota particolare interesse. Anzi, in alcuni casi il sentimento popolare, è il caso di dire, rema contro, come accaduto con le proteste e le levate di scudi contro la messa al bando dei sacchetti di plastica. Un provvedimento opportuno e di buon senso, che per una volta il nostro Paese aveva adottato con tempestività, anziché arrivare come sempre buon ultimo, ma che ha incontrato un’ostilità preconcetta e ingiustificata da parte dei consumatori, anche di quelli che, per ragioni anagrafiche, in gioventù facevano la spesa con borse e sporte di tela, riutilizzabili centinaia di volte. Per fare il punto della situazione, durante la manifestazione Slow Fish (evento dedicato ai mari e alla pesca organizzato da Slow Food con cadenza biennale a Genova), sono stati presentati i primi dati raccolti dal Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, in collaborazione con ISPRA e le 15 ARPA costiere, sullo stato complessivo dei mari italiani. Un’analisi che fa parte di una più ampia strategia europea per la tutela dell’ambiente marino, che traccerà le linee guida dell’Unione in ambito marittimo. I dati si riferiscono a campionamenti effettuati dal 2015 al 2017 e fotografano la situazione attuale, che verrà poi confrontata con i dati raccolti da un secondo ciclo di analisi, previsto per il 2021, in modo da capire quale sia la tendenza in atto, ovvero se le misure adottate portino a dei miglioramenti o se al contrario la situazione continui a deteriorarsi perché gli interventi messi in campo non sono sufficienti. Interventi che peraltro, per quanto riguarda il nostro Paese, al momento sono limitati ad iniziative volte a sensibilizzare i cittadini sui problemi legati ai rifiuti. Ma veniamo ai risultati della ricerca, che ha preso in esame spiagge, superficie marina, aree in profondità e persino le tartarughe spiaggiate. I dati emersi sono preoccupanti: ogni cento metri lineari di spiaggia, si contano in media 777 rifiuti, di cui l’80% in plastica. Quanto alla superficie, si è calcolata una presenza di 179.023 particelle di microplastica (inferiore ai 5 mm) per chilometro quadrato. Scendendo invece fra i 10 e gli ottocento metri si trovano fra i 66 e i 99 rifiuti a chilometro quadrato, il 77% in plastica. Per quanto riguarda le microplastiche, va ricordato che, oltre a essere prodotte in determinati settori, come quello cosmetico, spesso sono il risultato della disgregazione di oggetti più grandi, che si sfarinano con tempi lunghissimi: si stima che occorrano 10-20 anni per le buste di plastica, 20-30 anni per i bastoncini cotonati e addirittura 500-1000 anni per le bottiglie di plastica. Purtroppo, questi rifiuti non si limitano a galleggiare, ma entrano anche nella catena alimentare della fauna ittica: proprio analizzando le tartarughe spiaggiate, 150 esemplari di Caretta caretta, si è visto che il 68% aveva ingerito plastica. Parallelamente alla catalogazione dei rifiuti artificiali, la ricerca si è occupata di censire le specie aliene presenti nei nostri mari, altra problematica di una certa rilevanza. Sono state catalogate ben 263 specie non originarie delle acque della nostra penisola, di cui il 68% ormai stanziali. Spesso si tratta di specie tropicali provenienti dal Mar Rosso, che a causa dei cambiamenti climatici hanno trovato correnti propizie per la trasferta e, una volta giunte qui, habitat favorevoli per stabilirsi. Questa “invasione” pone a rischio alcune specie autoctone, che vedono la propria nicchia ecologica occupata da competitori estranei. Tuttavia, si è notato come un ambiente sano e protetto riduca questo fenomeno invasivo, dunque un motivo in più per prendersi cura dei nostri mari.
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