Chiesa e politica, i dilemmi ricorrenti
E’ veramente difficile riuscire a commentare gli avvenimenti di queste ultime settimane in ordine al complesso rapporto esistente fra la Chiesa (intesa nella sua accezione corrente, ossia la Gerarchia del Vaticano e della CEI) e la politica in Italia senza sottrarsi alla sensazione di trovarsi di fronte a riflessi condizionati antichi derivanti, da un lato, da una valutazione del tutto astratta ed unilaterale della situazione concreta e, dall’altro, dal prevalere di vecchi e nuovi dogmatismi che di fatto rendono impossibile non solo all’ Episcopato ma anche a molti credenti il coniugare creativamente la fedeltà all’insegnamento sociale della Chiesa all’azione concreta, libera, responsabile ed autonoma (nel senso di non coinvolgere direttamente la comunità ecclesiale nelle proprie libere scelte) nelle vicende politiche che spettano primariamente ai laici.
L’attivismo che sia la Segreteria di Stato sia la dirigenza della CEI hanno dispiegato in questi giorni è apparso teso, da un lato, alla preservazione della continuità del Governo Berlusconi a fronte della mozione di sfiducia presentata dall’opposizione e dal gruppo di Futuro e libertà staccatosi dalla maggioranza, passando sopra ai metodi utilizzati per garantire la risicata maggioranza ( e infatti né “Avvenire” né l’ “Osservatore romano” hanno espresso una sola riga di condanna rispetto allo scandaloso mercato di parlamentari messo in piedi dal Cavaliere), e, dall’altro, alla ricomposizione della cosiddetta area moderata favorendo il ritorno dell’ UDC all’ovile di Arcore e contrastando , di conseguenza, la nascita del cosiddetto “Terzo polo” con il novello “anticristo” Gianfranco Fini.
A prescindere da quanto dichiarato dal card. Bagnasco in un’intervista rilasciata a “Repubblica” il 19 dicembre, nella quale bisogna fare un certo sforzo per trovarvi sprazzi di bona fides, è del tutto evidente che lo schierarsi oggettivo di settori gerarchici a favore della destra attuale, le cui tare morali e politiche che tendono a diffondersi largamente nella cultura popolare del nostro Paese sono sotto gli occhi di tutti, sia motivata essenzialmente dalla convinzione che solo Berlusconi in questo momento possa garantire quei vantaggi di ordine materiale in campo scolastico o sanitario o fiscale che evidentemente costituiscono la maggiore preoccupazione per la Chiesa gerarchica in una fase di avanzata secolarizzazione per non dire scristianizzazione del nostro Paese cui ha potentemente contribuito anche la cultura secolare di cui Berlusconi è insieme il prodotto ed il maggiore alfiere.
Quanto al secondo tema, che poi si riduce alla questione dei cosiddetti “principi non negoziabili” , occorre dire che la sua gestione sta diventando un oggettivo impedimento alla libertà politica dei credenti. L’affermazione per cui una volta che siano rispettati tali valori (difesa della vita dall’inizio alla fine “naturali”, difesa della famiglia fondata sul matrimonio eterosessuale, promozione della scuola cattolica sotto il pretesto della “libertà educativa”…) tutto il resto sia opinabile è a dir poco fuorviante, e se dalle nostre parti non si arriva agli eccessi dell’Episcopato statunitense, che sembra ormai congelato monomaniacalmente nella questione dell’aborto al punto di opporsi ad una norma epocale come quella della tutela sanitaria universale propugnata da Obama, è vero però che la destra italiana sembra godere di un immeritato pregiudizio favorevole. Sicché la partita del tutto strumentale aperta cinicamente da Berlusconi e dai suoi sul corpo esanime di Eluana Englaro con una proposta di legge sul fine vita tirata fuori in fretta e furia e poi messa su di un binario morto appena spenti i riflettori, ed il nulla in mano, però accompagnato da dichiarazioni insieme retoriche ed offensive, con cui il Governo si è presentato alla recente Conferenza nazionale sulla Famiglia, valgono agli occhi dei settori episcopali sopra indicati come una sorta di abluzione con cui vengono ripulite le macchie degli scandali finanziari e sessuali, della corruzione e del malgoverno imperanti eccetera eccetera.
Ma che questa mesta tiritera sia ormai indigeribile ad altri settori dell’Episcopato, magari più vicini ai problemi della gente che non ai fasti dei palazzi del potere politico od ecclesiastico, lo si evince da alcune dichiarazioni raccolte dal mensile cattolico “Jesus” in margine all’ultima Assemblea generale della CEI. Ad esempio quella del Vescovo di Como mons. Diego Coletti , che rileva come “a torto o a ragione si rimprovera alla Chiesa di intervenire solo su questioni eticamente sensibili, che sono di grande importanza ma che non coprono l’orizzonte di preoccupazione progettuale e di speranza della gente”. O quella di mons. Francesco Beschi, Vescovo di Bergamo, che ricorda che “l’economico, e poi il finanziario, si è affermato in modo deformato anche per la rinuncia di una politica non all’altezza dei suoi compiti”. Oppure come quella di mons. Calogero Peri di Caltagirone (la Chiesa locale di don Sturzo…) che ad una domanda sui valori non rinunciabili risponde “sono contro gli slogan. Valore non negoziabile può suonare come un assoluto. La vita , per esempio, non è un valore assoluto, perchè altrimenti non si potrebbe giustificare il martirio o uno che muore per aiutare l’altro… E questo non vuol dire che il valore è relativo, ma che è relazionale. Il senso della democrazia, quello del lavoro, etc., sono valori relazionali: e se io lavoro, non devo darmi pace fino a quando il lavoro non ce l’abbia anche l’altro”. Lo stesso nuovo Arcivescovo di Torino mons. Cesare Nosiglia, considerato assai vicino al card. Ruini, all’atto di prendere possesso della Diocesi subalpina, ha dato dell’elenco dei “valori” una lettura contestualizzata, affermando in premessa che la Chiesa locale di Torino sarà schierata “ovunque ci sarà qualcuno che va difeso e sostenuto nei suoi diritti umani, religiosi, familiari e sociali”, spostando l’attenzione dall’astrazione dei principi alla concretezza della situazione di vita delle persone. Per usare un linguaggio paolino, occorre far prevalere sulla lettera che uccide lo spirito che vivifica e va oltre i confini.
Non si può che auspicare che sia questa la mentalità prevalente nella Chiesa italiana, ma l’irrigidimento politicante dei suoi settori apicali lascia poche speranze in tal senso: una ragione in più per i laici cristiani di operare sotto la loro responsabilità, avvertiti delle indicazioni dei loro Pastori ma consci di dover rispondere in primo luogo a quella coscienza che, secondo quanto insegnava il cardinale Newman,recentemente beatificato, merita che si brindi ad essa prima che al Papa.
Lascia un commento