Condizioniamoci
Cerco l’estate tutto l’anno e all’improvviso eccola qua. Negli anni ’60 del secolo scorso, quando Adriano Celentano spopolava cantando queste parole, l’estate era un periodo atteso e apprezzato, sinonimo di sole, mare, vacanze. Oggi, a pochi decenni di distanza, molti non la sopportano più l’estate, patiscono il caldo e l’afa, si augurano che torni presto l’inverno perché, dicono “dal freddo ti puoi proteggere coprendoti”. Nel frattempo, cercano di difendersi dal caldo con quello che ritengono l’unico rimedio possibile, il condizionatore.
È una soluzione ingannevole, perché problemi e rimedi stanno altrove.
Cominciamo dai problemi. Sempre per dirla con Celentano, la dove c’era l’erba verde ora c’è una città. Questo verso struggente e nostalgico è, forse involontariamente, una delle più grandi intuizioni profetiche della canzone italiana. Il problema della cementificazione, già ben visibile negli anni del boom economico, oggi ha raggiunto livelli insostenibili. Eppure, si continua a costruire, ovunque e comunque, secondo i dettami di un paradigma sviluppista ormai stantio, che confonde il cemento col progresso. Infatti, la crescita edilizia poteva avere un senso in quegli anni, perché era parallela a quella demografica, all’inurbamento della popolazione e a un benessere diffuso che creava domanda di luoghi di svago e aggregazione, infrastrutture turistiche, seconde case. Discorso analogo per la rete viaria, che andava implementata per far fronte alla motorizzazione di massa.
Però oggi proseguire in questa direzione è privo di senso, non risponde a necessità oggettive e rischia di portare al collasso. Facciamo l’esempio pratico di Torino, considerata città-laboratorio per eccellenza. Negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso ha visto una migrazione così massiccia dal Sud da diventare la terza più grande città “meridionale” dopo Napoli e Palermo, raddoppiando la propria popolazione nel giro di pochi anni, il tutto sulla spinta dell’industria automobilistica. Ma già negli anni ’80 si vedeva un’inversione di tendenza, sfociata poi nella più massiccia deindustrializzazione avvenuta in Italia. A fronte della chiusura di decine di stabilimenti e della cancellazione di migliaia di posti di lavoro, la città ha iniziato a spopolarsi, perdendo un terzo degli abitanti. Eppure, si è continuato a costruire, col risultato di ritrovarsi decine di migliaia di alloggi vuoti, un eccesso di offerta a fronte del calo repentino della domanda. Intanto cresceva l’area metropolitana, senza programmazione e senza un’adeguata rete di trasporti pubblici, dunque con la necessità di ampliare la rete viaria per il crescente traffico privato.
Il risultato è che oggi Torino è una delle città più inquinate d’Europa, continua a essere strangolata dalla crisi economica e, al pari di molte altre aree urbane, soffre il fenomeno delle “isole di calore”, che l’attuale surriscaldamento climatico rende ancora più evidente. Succede cioè che asfalto e cemento immagazzinano e trattengono quantità elevate di calore, molto più, per intenderci, di quanto farebbe un suolo erboso. In tal modo aumenta di parecchio il riscaldamento diurno e diminuisce considerevolmente il naturale rinfrescamento notturno.
La soluzione migliore, naturalmente, sarebbe di prevedere zone libere da edifici, sostituendole con aree verdi e alberate, in grado di assorbire calore e garantire ombra e ricircolo dell’aria. Senza dimenticare il prezioso apporto rinfrescante delle acque che scorrono in città, se non vengono soffocate a loro volta dal argini e tombature di cemento. Invece …
Invece, si compra il condizionatore e lo si mette al massimo, tanto che quando si entra in certi ambienti occorre vestirsi, per non prendere un colpo d’aria. E così facendo si implementa il problema, anziché risolverlo. Perché il condizionatore non crea il fresco dal nulla. Si limita a prendere l’aria calda da dentro (auto, uffici, abitazioni, supermercati …) e buttarla fuori nel microclima cittadino, debitamente “arricchita” di massicce dosi di umidità. Questo incrementa ulteriormente l’effetto “isola di calore” causato dagli agglomerati di cemento in cui vive la maggior parte di noi.
Diversi studi indicano che la differenza fra la temperatura dell’area urbana e quella delle zone rurali limitrofe può arrivare anche a 4-5°, senza contare che la maggior percentuale di umidità aumenta ancor di più il calore percepito. La differenza fra il “sistema di condizionamento” offerto dalla natura e quello imposto dai nostri stili di vita consumisti si esemplifica in modo lampante. In più, i condizionatori sono aggeggi estremamente energivori, tanto che ormai da parecchi anni tocchiamo i massimi consumi di corrente proprio nel periodo estivo, invece che, come sarebbe logico, in quello invernale, con meno luce a disposizione e la necessità di riscaldare gli ambienti.
Vale la pena sottolineare che l’aumento dei consumi energetici contribuisce non poco a generare effetto serra e riscaldamento globale, in un circolo vizioso che ci ha ormai portati dentro un cambiamento climatico già in atto, che si esemplifica con eventi atmosferici anomali sempre più frequenti e devastanti, sui quali poi ci limitiamo a versare lacrime di coccodrillo, senza analizzare le cause e senza fare un minimo di prevenzione.
Fino a quando continueremo a insistere con i nostri comportamenti sbagliati e dannosi? Probabilmente troppo a lungo per poter poi rimediare. È quello che hanno capito molti giovani, scesi in piazza a migliaia per invocare un cambiamento urgente e radicale nelle nostre abitudini e nei nostri stili di vita, ormai non più sostenibili. Ma troppa parte dei decisori politici e della stessa opinione pubblica appare insensibile al moltiplicarsi delle grida di allarme.
Sono troppo “condizionati” da vecchi schemi di pensiero. E, quel che è peggio, non riescono a liberarsi da questo “condizionamento”, anzi, continuano a pensare che il problema possa diventare soluzione.
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