Emilio Gentile: 25 luglio 1943

Per la collana i dieci giorni che hanno fatto la storia d’Italia, lo storico Emilio Gentile, propone “25 luglio 1943” (edizione Laterza), quando, dopo venti anni, cadde il fascismo. Una fine determinata dal voto del Gran consiglio, supremo organo del regime convocato per l’occasione dopo che nei precedenti quattro anni era sempre stato tenuto al margine di qualsiasi decisione. Quindici giorni prima, il 10 luglio, le truppe americane erano sbarcate in Sicilia e, senza eccessive resistenze, si apprestavano a risalire la penisola. Dopo la sconfitta di El Alamein e la resa di Stalingrado, nel novembre 1942, e dopo che, nel maggio di quello stesso 1943, era crollato il fronte in Tunisia, la guerra era ormai virtualmente persa. Anche gli uomini del fascismo se ne rendevano ben conto. Ne era probabilmente conscio persino il Duce che, non a caso, da qualche tempo stava tentando di sganciare l’Italia dalla Germania, cercando anche di convincere Hitler a chiedere una pace separata con la Russia.

In questa situazione, tanto drammatica per il Paese, il Gran consiglio si pronunciò, 19 voti favorevoli, 7 contrari e un astensione, per l’ordine del giorno redatto dal presidente della Camera dei fasci e della corporazioni, Dino Grandi, con cui si chiedeva al Re di riprendere tutti i poteri militari e politici ceduti a suo tempo al Duce. Il pomeriggio successivo alla seduta del Gran consiglio, che terminò a notte inoltrata, Vittorio Emanuele III esautorò Mussolini da qualsiasi incarico e nominò capo del governo, Pietro Badoglio.

Il resto lo sappiamo bene: l’armistizio dell’8 settembre, la fuga del sovrano e del governo a Pescara, l’inizio dei 18 mesi più tragici della storia italiana. Quello che invece non si conosce ancora bene, e su cui prova a far luce Gentile nel volume è cosa accadde veramente nella notte del 25 luglio. L’autore compie un’attenta ricognizione su quello che venne realmente detto, su chi fu promotore della riunione, sul contrapporsi dei diversi ordini del giorno. Incredibile a dirsi, ma di quella seduta, contrariamente a tutte le precedenti, non esiste alcun verbale. Tutto è dunque affidato agli appunti presi da qualche gerarca, alle ricostruzioni postume spesso viziate dal tentativo di offrire una personale versione dei fatti. Ad esempio, la famosa frase, attribuita a Mussolini, che al termine della seduta avrebbe detto “signori, con questo voto avete provocato la fine del regime”, non sarebbe mai stata pronunciata. Nessuno dei gerarchi la riporta nei propri memoriali. Nessuno, tranne Grandi che la inserì nel proprio racconto del 25 luglio, facendogli comodo accreditare come decisiva per le sorti del fascismo la votazione del suo ordine del giorno. Analogamente fece Mussolini che, avendo forse adocchiato il libro di Grandi, confermò la frase nel suo memoriale, “Storia di un anno”, pubblicato nell’estate del 1944, per mostrare la chiara volontà dei gerarchi abbattere il regime e poterli dunque considerare dei traditori meritevoli di venir condannati a morte, come era accaduto pochi mesi prima al processo di Verona.

In realtà sono tutte versioni edulcorate, dettate col senno di poi. Quella notte nessuno voleva realmente far cadere il fascismo e, d’altronde, per quale motivo i massimi gerarchi del regime avrebbero dovuto volere la loro stessa fine? Si trattava, semmai, di salvare il salvabile e, per l’appunto, quello era lo scopo della restituzione di molti poteri al Re. Questi invece, da tempo, cercava un appiglio per destituire Mussolini e il voto dei gerarchi glielo offrì su un piatto d’argento. In meno di ventiquattro ore le mura del regime crollarono come fossero di cartapesta e il disegno di Grandi, fatto proprio dai vari Ciano, Bottai e Federzoni, per restituire vitalità al fascismo, e per mettere al riparo il proprio futuro politico, sfumò del tutto.

Potrà sembrare un controsenso ma a conti fatti, sarebbe stato forse meglio, da parte del Re, lasciare Mussolini al suo posto, imponendogli però di condurre in prima persona l’uscita dell’Italia dalla guerra. Il Duce era il solo che potesse farlo senza venir tacciato di tradimento da Hitler e forse si sarebbe evitata la feroce reazione tedesca che condusse all’invasione della nostra penisola. Certo, la storia non si fa con i se e con i ma, resta però abbastanza evidente che la strada prescelta aprì la porta al periodo più tragico della nostra vicenda nazionale.

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