Indifferenza o irrilevanza dei cattolici italiani in politica? Non è questo il problema.
Da alcuni lustri a questa parte, in Italia, esiste un nuovo tipo di sport, che riprende vigore dopo elezioni di vario tipo, i cui “risultati” non “risultano” essere conformi agli indirizzi tradizionali e vedono, invece, l’affermarsi di forze strane, rispetto alle antichità politiche a cui eravamo abituati, potremmo chiamarlo: la caccia all’errore, e si merita senz’altro il suo processo del lunedì (elettorale). E’ uno sport che si può praticare anche dopo la formazione di un nuovo governo. Come in ogni cronaca sportiva che si rispetti, sono stati introdotti termini nuovi: memori degli Arpino e dei Brera dei tempi che furono, oggi si usano soprattutto vocaboli ai più un tempo ignoti, quali populisti e sovranisti. Ma se ne usano anche di più abituali, come: cambiamento, rinnovamento, colpo di spugna,… Anche i resoconti parlamentari assomigliano via via a quelli calcistici, con un trionfo cromatico di magliette colorate: governi gialloverdi o giallorossi, gli azzurri che scendono in campo (e non è la Nazionale), i bianchi, i neri, i rossi,… personalmente aspetterei i granata,… Naturalmente hanno la preferenza gli slogan da stadio, tipo: “Meno tasse per tutti”, “Abbiamo abolito la povertà”, “Prima gli Italiani”, Chiudere i porti”, a scapito di ragionamenti più complessi e meno ritmabili nelle piazze o sulle gradinate: “Occorre ridurre il cuneo fiscale” o “Equa redistribuzione dei migranti”.
C’è poi un’altra attività ludica che ogni tanto compare in queste cronache desolate: visti gli andazzi delle più diverse votazioni, dal Parlamento Europeo al comune di Borgoratto Alessandrino, qualcuno si sveglia e lamenta l’indifferenza, intesa sia come poco interesse, sia proprio come irrilevanza, dei cattolici nella politica italiana. Sono i nostalgici della DC, che al suo interno ruminava tutto e il contrario di tutto? O quelli del novello Partito Popolare, quello della fine del secolo scorso (non quello di Sturzo, De Gasperi e dell’appello agli uomini liberi e forti, giusti cento anni or sono), formazione che ebbe una speranzosa alba, ma un precocissimo tramonto? Chissà?
A discutere della questione si riuniscono uomini appassionati e di buona volontà, provenienti da movimenti ed associazioni ecclesiali, uomini di chiesa, professori, politici del mondo antico,… certamente (al di là dell’ironia di queste righe), tutti uomini e donne animati da serie intenzioni. Si trovano spesso in luoghi simbolici del tempo politico che fu, promettono la nascita di una cosa, una roba, un qualcosa di bianco che torni ad occupare il posto della balena bianca (uno dei soprannomi con cui si indicava la Democrazia Cristiana). Ma non pare che nessuna di queste iniziative abbia mai portato a risultati concreti di interessante livello, probabilmente perché non ha mai coinvolto una vasta base di popolazione, rimanendo sempre a livelli elitari. Forse fra queste la più significativa fu la Rete, nata dalla cosiddetta primavera palermitana, ispirata dai due padri gesuiti Pintacuda e Sorge (quindi non dei laici), di cui un importante esponente, Leoluca Orlando, è tornato ad essere il sindaco del capoluogo siciliano (corsi e ricorsi storici, potrebbe dire qualcuno,…). Anche la Rete non durò a lungo, come formazione autonoma, e poi non si autodefiniva come un’esperienza solo e propriamente cattolica. Una successiva intuizione di Sorge, l’ Area Popolare Democratica, non venne nemmeno alla luce, anche se alcune sue istanze potrebbero aver influenzato i fondatori del PD, ma questa sarebbe un’altra storia (tragica?), che qui non abbiamo il tempo di fare.
Tornando al tema di partenza (la presunta irrilevanza dei cattolici italiani in politica), a questo si potrebbe associare quello della loro unità politica, argomento ormai superato da decenni, ma che ha ancora degli accaniti tifosi. Sono tutte questioni interessanti, ma sembrano essere secondarie rispetto ad un’altra che potrebbe essere, invece, principale. Perché, forse, prima di affrontare l’irrilevanza politica dei cattolici italiani, bisognerebbe definire chi sono oggi i cattolici italiani “adulti”, cioè quelle persone che possono (e devono) esercitare i loro diritti (e doveri) politici. Non ci riferiamo, quindi, a bambini e ragazzi che frequentano istituzioni cattoliche per il cammino sacramentale, per l’istruzione scolastica o per lo svago sportivo o ricreativo degli oratori,… pensiamo agli adulti che, nell’etica del loro lavoro, nell’osservanza delle leggi dello Stato, nel loro impegno partecipativo (che non può essere solo il pur encomiabile “volontariato sociale” o la faticosa ed inestimabile amministrazione di tanti piccoli comuni periferici), nella loro attività sindacale, nelle loro proposte, … si possono definire cattolici impegnati. Ci sono ancora? Certamente sì, ma sparpagliati in molteplici rivoli delle più varie aggregazioni, talvolta si trovano anche su sponde tra loro contrapposte. Qual è il loro comune denominatore? Il Battesimo che tutti hanno in comune? Non basta per fare politica. Il partecipare alla messa domenicale? Forse lo fa meno del 10% della popolazione, e non ci pare che sia un’attività finalizzata ad avere un’identità politica. L’adesione all’insegnamento di Francesco in tema di accoglienza? Non tutti lo condividono. La conformità del loro impegno ecclesiale con le linee del Convegno di Firenze per la Chiesa italiana? “Ma di cosa stiamo parlando?”, ci si potrebbe chiedere, visto il silenzio su cui è rotolata quella dimenticata assise.
Quindi, forse, la riflessione sull’impegno politico dei cattolici in Italia dovrebbe partire proprio dalla definizione di chi essi sono e di come, oggi, si può essere cattolici adulti nel nostro paese (certamente non sventolando i rosari nei comizi politici), e dove e in che modo questi si possono formare ad un impegno sociale e politico coerente con la loro fede. Si accettano suggerimenti, in attesa di una prossima puntata sul tema.
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