Come un libro di fiabe, ma senza sentimenti
Nella ripresa de L’elisir d’amore di Donizetti alla Scala spiccano le voci di René Barbera e Rosa Feola.
Il Teatro alla Scala è uno dei tanti specchi culturali della internazionalità milanese. È ormai un teatro dove il pubblico è formato in gran parte da turisti, o da persone che, di passaggio per business dal capoluogo lombardo, non mancano di far visita a quello che è ritenuto, e non a torto, il tempio della lirica mondiale.
La Scala si è per questo internazionalizzata con una programmazione che non ha un attimo di sosta; le produzioni si succedono a ritmo incalzante, come è in uso fare nei teatri delle grandi capitali europee. Così, dopo la pausa estiva, sono andate in scena le recite di Rigoletto nell’allestimento sontuoso di Gilbert Deflo, con i giovani della Accademia e la guest star Leo Nucci nei panni del protagonista, e ancora sono in corso le repliche de L’elisir d’amore di Donizetti nella ripresa dell’altrettanto collaudato e più volte riproposto allestimento con le scene dipinte da Tullio Pericoli, rimontato, per la regia, da Grischa Asagaroff.
Uno spettacolo godibile, fresco e ancora bellissimo da vedere se si valuta la superficie di un impianto scenico formato da quinte laterali che scorrono delimitando ambienti boschivi e da fondali pitturati con l’arte magistrale che sappiamo propria al noto disegnatore marchigiano, il quale immagina un mondo agreste in maniera naïf, con colori vivaci e con quel pizzico di infantile surrealismo che colpisce nel segno. Il tutto sembra uscito da un libro di fiabe illustrato, con le proporzioni e la giusta dose di fantasia che si ritrova anche nel taglio dei costumi. Eppure questo non sempre giova all’Elisir, che non è un’opera da teatro di burattini e non mette in scena personaggi simili a marionette. Il suo coté sentimentale, che questo spettacolo ignora, veste la trama contadina e il dipanarsi dell’intreccio di quel patetismo a stento ravvisabile nelle gags, spesso di dubbio gusto, che rendono lo spettacolo poco conforme al vero spirito della partitura.
La stessa direzione di Michele Gamba, giovane e promettente bacchetta, sceglie tempi svelti e sonorità talvolta troppo accentuate, forse non sempre tenendo conto delle esigenze del palcoscenico e di una compagnia di canto comunque interessante. Spiccano il tenore René Barbera e il soprano Rosa Feola.
Il primo e un Nemorino barbuto e paffutello, che sfoggia una linea di canto pulita, un bel legato e, all’occorrenza, anche una buona capacità di sfumare i suoni, da vero tenore di grazia, in un’esecuzione della celebre “Una furtiva lagrima” dove prevale un canto stilisticamente irreprensibile. C’è raffinatezza e senso della frase, ma all’impasto vocale manca spessore lirico, più morbidezza e colori, qualità senza le quali il personaggio appare risolto con garbata semplicità, ma senza quella varietà di accenti capaci di vivificare il suo Nemorino rendendolo maggiormente personale e meno ascritto ad una linea di canto patetica che si avvicina al sentire dello stile rossiniano più che donizettiano.
La seconda è una Adina di gran lusso, mai scontatamente soubrettistica, capace di belle espansioni liriche e di un patetismo affettuoso che non azzarda compiacimenti in “Prendi, per me sei libero”, sfoggiando poi precisione nelle colorature della successiva stretta virtuosistica. Una visione del personaggio in perfetto equilibrio fra frivolezza e sentimentalità, in virtù di un fraseggio messo al servizio di una organizzazione vocale senza pecche.
Il cast scende di livello con le prove di Massimo Cavalletti, Belcore, che ha il bel timbro baritonale che sappiamo e lo sfoggia nella cavatina d’ingresso; da subito pare solido e sonoro, poi incespica nel canto fiorito ed appare un po’ impreciso, ma lo è certo meno di Ambrogio Maestri, Dulcamara, apparso nella sua forma non migliore, troppo sommario ed impacciato nella recitazione, così come nel canto; peccato. Completa il cast la brava Francesca Pia Vitale, Giannetta.
Successo senza macchia per uno spettacolo di routine, forse di lusso, ma di routine pur sempre si tratta.
Foto Brescia & Amisano.
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