Federalismo? Quando la lingua cede all’ideologia

Nel dicembre 2009 chiedemmo a Giovanni Bianchi un intervento sulle modificazioni che stavano intervenendo nel sistema politico-costituzionale italiano, allontanando la “costituzione materiale” dalla Carta elaborata dai Padri costituenti nel biennio 1946-47 e entrata in vigore nel gennaio 1948. In particolare si poneva il problema della “indicazione” sulla scheda elettorale del presidente del Consiglio dei ministri, legando così le mani al Presidente della Repubblica nel conferimento dell’incarico per la formazione del Governo.

Eravamo – e siamo – molto preoccupati infatti da questo “premierato” strisciante, che rischia di somigliare molto ai regimi plebiscitari, soprattutto se la “mala-educazione” istituzionale porta poi a contrapporre con insistenza una presunta “unzione” popolare ad altri poteri dello Stato. E questo è solo uno degli esempi di “manomissione” della Costituzione che stanno avvenendo sotto i nostri occhi, complice una pericolosa deriva ideologica.

Ora viene in nostro soccorso nientemeno che il presidente della Corte Costituzionale, Ugo De Siervo, il quale nei giorni scorsi è intervenuto a proposito del cosiddetto “federalismo fiscale”, chiarendo – con una limpidezza davvero invidiabile – un concetto che più volte, nella mia carriera di giornalista,  ho espresso, rimanendo decisamente minoritario, perfino fra colleghi di rango.

Ha dichiarato Di Siervo, dopo aver evitato di entrare nel “conflitto” che potenzialmente potrebbe scatenarsi sul contenuto del decreto: “Quello che si può dire tranquillamente ma non riguarda il conflitto è che quello di cui si sta parlando non è federalismo. Dire federalismo municipale è una bestemmia, è come dire che un pesce è un cavallo, sono due cose che non c’entrano insieme. Si chiama autonomia finanziaria, anche la lingua ha il suo valore. Il federalismo è un processo di unificazione progressiva di stati che erano sovrani verso un unico stato gestore. Che c’entra questo con l’autonomia finanziaria dei Comuni, decisa dal parlamento nazionale? Quello che un pochino turba è che ogni abuso linguistico è indice di una scorretta rappresentazione della realtà”.

Chiaro, no? In Italia non è in corso alcun processo “federativo”, perché non c’è nulla da “federare”. C’è da portare alle estreme conseguenze l’autonomia, con un trasferimento di poteri e potestà dallo Stato agli enti locali – Regioni, Provincie (finché ci saranno), Comuni – ma niente di più, né di meno. Evitiamo, dunque, di utilizzare il termine “federalismo”, che invece si è caricato di significato ideologico, fruttuosamente finora sfruttato soprattutto dalla Lega.

Collegato a questo discorso va, come si può ben capire, l’abuso del termine “governatore”, quando si parla di Regione. Ma quale governatore? Si tratta di Presidente di Regione, che guida una giunta, e quindi è il capo di un esecutivo. Anche in questo caso il termine serve a evocare chissà quali poteri e chissà quale autorevolezza

La ricostruzione di uno “spirito civico” e del senso delle istituzioni, del rispetto delle regole e – lasciatecelo dire – dello spirito di servizio, richiederà anche un uso più sobrio e preciso dei termini. Non sarà cosa facile, ma ci possiamo provare.

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