Le gesta di un conquistatore illuminato
Prima rappresentazione in tempi moderni a Firenze del Fernand Cortez di Gaspare Spontini nella versione originale.
La prima rappresentazione in tempi moderni del Fernand Cortez di Gaspare Spontini nella versione originale, per intendersi, quella che andò in scena con un profluvio di mezzi scenografici sfarzosi nel Théâtre de l’Académie Impériale de Musique di Parigi il 28 novembre 1809, alla presenza dell’imperatore Napoleone I, è da ritenersi uno degli avvenimenti operistici più importanti dell’anno in corso. Il merito dell’operazione va al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, che con uno sforzo produttivo davvero coraggioso ha voluto la messa in scena di questo nuovo allestimento per l’inaugurazione della stagione 2019-2020.
Si conosceva già la versione del 1817 rielaborata da Spontini stesso, che poi ne curò ancora altre due in lingua tedesca; era conosciuta anche nella traduzione italiana, eseguita nel nostro secolo a Milano (Teatro alla Scala, 1916), Napoli (Teatro San Carlo, 1951), Torino (in forma di concerto per la stagione della Rai, 1974), Venezia (Teatro La Fenice, 1974) e Jesi (Teatro Pergolesi, 1983), ma della edizione originale, ovviamente in lingua francese, per di più proposta nella versione critica curata da Federico Agostinelli, non si aveva traccia esecutiva nel Novecento. Rispetto all’edizione del 1817, quella proposta oggi a Firenze appare un’opera quasi nuova, o meglio con un impianto complessivo completamente mutato, pur utilizzando quasi la medesima musica. La parte iniziale del terzo atto della prima versione, che si apre con la scena dei prigionieri nel tempio messicano, pronti ad essere sacrificati, viene in quella del 1817 a far parte integrante del primo atto con il ruolo del Grand Prêtre ampiamente ridotto. Il primo atto della versione del 1809 diventa invece il secondo, mentre il secondo atto diventa il terzo. Diversi sono i brani spostati e molti ruoli vengono ridimensionati.
Questo è ben illustrato da Agostinelli nelle note alla edizione critica. All’ascolto appare evidente che il grande divertissement che prevede l’omaggio seduttivo delle donne messicane agli invasori, la successiva prova di forza della carica della cavalleria e l’incendio delle navi ordinato da Cortez per impedire agli spagnoli di lasciare il Messico diventano, nella edizione del 1809, il fulcro del primo atto, mentre decisamente più articolata appare la parte di Amazily, che nel secondo atto ha una grande aria di spessore tragico, “Dieu terrible!”, preceduta da due recitativi, il cui declamato rispondeva alle capacita che erano proprie alla prima leggendaria interprete, quella Alexandrine-Caroline Branchu che fu anche il soprano creatrice di altri grandi ruoli femminili spontiniani ne La Vestale e nella Olimpie.
Detto questo, sappiamo che l’opera fu composta e rappresentata per volere dell’Imperatore stesso, il quale affidò a Spontini il compito di celebrare in musica la figura del navigatore-conquistatore del Messico proprio nel momento in cui Napoleone si accingeva alla conquista della Spagna. Questa vicenda di imperialismo illuminato, con il continuo inneggiare alla patria, poteva servirgli per vedere nel protagonista quel supremo ordinatore che con il suo agire e le sue parole eloquenti, pronunciate musicalmente sempre attraverso declamati, piega tutti al suo volere. Certo l’opera è, anche musicalmente e drammaturgicamente, riflesso di quanto detto. Il suo clima eroico e militaresco, il suo procedere per grandi pannelli scenici che non hanno divenire drammatico e vedono personaggi definiti con fissità caratteriale priva di sfumature, sono riflesso di un’impostazione sostanzialmente corale che eredità il sentire dell’impianto gluckiano e mette le basi per un’opera che, seppur memore anche della lezione cherubiniana, abbandona i soggetti classici de La Vestale e dell’Olimpie e nel sanguigno e marziale incedere delle scene d’assieme precorre quello che diverrà il romantico grand-opéra parigino di Meyerbeer, non prima di aver influenzato anche il Rossini de Le siège de Corinthe e del Moïse et Pharaon. Uno spirito romantico sul quale aleggia un clima da romanzo d’avventura che talvolta si apre a cammei preziosi di un classicismo emotivamente pregnante, si pensi all’aria di Télasco (“Ô patrie!”) e a quelle di Amazily (“Hélas!…Elle n’est plus!” e “Arbitre de ma destinée”).
Il neoclassicismo musicale di Spontini è, anche in Fernand Cortez – con i suoi ritmi di marcia, con i suoi inni bellici, con la sua propensione al fasto – elaborazione formale accademica, decorazione e paludamento scenografico asservito ad una declamazione oratoria che rende quest’opera tanto difficile da comprendere oltre che da eseguire, soprattutto oggi che, anche in Francia, sembrano essersi perse le coordinate per donare alla partitura e alle sue esigenze vocali le connotazioni stilistiche che le competono. Sarebbe tuttavia ingiusto negare all’esecuzione che ha aperto la stagione del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino una tenuta musicale solida e attenta, resa possibile dalla bacchetta sensibile ed ispirata di Jean-Luc Tingaud, che ha nella sua direzione, sostenuta da una Orchestra e da un Coro eccellentissimo, istruito da Lorenzo Fratini, un senso dello sviluppo teatrale scorrevole e fluido, tanto che l’opera, che ha una durata considerevole (quattro ore e un quarto, compresi i due intervalli), non annoia mai.
Anzi è resa ancora più efficace dallo spettacolo che Cecilia Ligorio firma per la regia, con scene di Alessia Colosso e Massimo Checchetto, costumi di Vera Pierantoni Giua, luci di Maria Domènech Gimenez e coreografie davvero bellissime di Alessio Maria Romano con i ballerini della Compagnia Nuovo BallettO di ToscanA. Un team che ha lavorato per costruire una messa in scena di elegante impatto visivo, nel segno di un figurativismo di respiro grandioso, eppure di fattura stilizzata, con l’utilizzo di pochi elementi scenici come sipari trasparenti e fondali dipinti con visioni marine in tempesta e cartine geografiche, sagome di navi, cavalli, cannoni, corazze e quant’altro possa richiamare il dialogo ora conflittuale, ora dialettico fra due mondi opposti, quello visto come barbarico dei messicani e quello dei conquistatori spagnoli, con la figura di Cortez che anela a mettere pace e concordia fra le sue genti e quelle dei territori colonizzati, con un lieto fine ovviamente antistorico e coreograficamente celebrato inneggiando all’alleanza fra vecchio e nuovo mondo, funzionale alle esigenze espansionistiche di quello che abbiamo ricordato essere il committente dell’opera: Napoleone.
Non sempre la compagnia di canto è riuscita ad assolvere appieno alle esigenze non facili alle quali gran parti dei ruoli sono chiamati. Ma lo sforzo e la buona volontà hanno permesso di godere di un’esecuzione di tutto rispetto. Il tenore Dario Schmunck ce la mette davvero tutta per essere un protagonista credibile nei panni di Fernand Cortez; non possiede la scolpitezza d’accenti del grande declamatore ma risolve la parte al meglio delle sue possibilità. Non così la Amazily di Alexia Voulgaridou, più volte in difficoltà, soprattutto quando la vocalità, abbandonando la virginale melodia di alcune arie di neoclassico nitore spontiniano, si carica di una tragicità che la sua voce non possiede, mostrando diversi affanni e un senso di fatica che rende l’ascolto problematico. Discorso che si fa ancor più evidente dinanzi al debole Télasco del tenore Luca Lombardo.
Nei ruoli di contorno, che hanno comunque importanza nell’economia dell’opera, si impongono il Moralez timbrato e scenicamente eccellente di Gianluca Margheri, Le Grand Prêtre ruvido ma efficace di André Courville e poi tutti gli altri, David Ferri Durà, Alvar, Lisando Guinis, Un Officier Espagnol, Davide Ciarrocchi e Nicolò Ayroldi, Deux Prisonniers Espagnols, Leonardo Melani, Un Officier Mexicain, Davide Siega, Un Marin, Silvia Capra e Delia Palmieri, Deux femmes de la Suite d’Amazily. Al di là delle oggettive difficoltà esecutive dell’opera e dei risultati raggiunti, credo che questo Fernand Cortez possa considerarsi una operazione riuscita da parte di una Fondazione che attende di consolidare quella serenità operativa (è in arrivo alla guida del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, dopo mesi di turbolenza gestionale, Alexander Pereira, fino ad oggi Sovrintendente della Scala) che contribuisca a mantenere alta la tradizione culturale che ha da sempre contraddistinto le sue programmazioni e che questo spettacolo non ha fatto che confermare.
Foto di Michele Monasta.
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