Fine vita: i medici cattolici rilanciano l”alleanza terapeutica”
L’Amci, l’Associazione Medici Cattolici Italiani Sezione di Milano, in vista della ripresa della discussione parlamentare sul cosiddetto “testamento biologico” ripropone il documento predisposto già 2 anni fa sul tema Alimentazione e Idratazione Artificiale e pubblicato su “Aggiornamenti Sociali” nel numero 6 del 2009.
Questa iniziativa vuole essere, da parte dell’Amci milanese, un aiuto per un dibattito serio tra le diverse posizioni in campo; dibattito che deve però essere sempre condotto nel necessario rispetto delle opinioni altrui.
Un documento che oggi, a due anni dalla pubblicazione, mantienere una sua stretta attualità visto che nel tempo posizioni che all’epoca sembravano lontane dallo spirito di questa riflessione si sono invece avvicinate se non allineate.
Questo il documento:
Parlare di «alimentazione e idratazione artificiali» nel nostro Paese oggi evoca, senza ombra di dubbio, precomprensioni legate alle vicende dalle quali siamo usciti recentemente, con la conseguente assunzione dello «stato vegetativo permanente» a paradigma interpretativo della questione, con lo stile della contrapposizione ideologica a cui assistiamo a livello politico e con uno sfondo culturale che oppone fautori della vita a chi sembrerebbe ad essa contrario. Tutto ciò non permette un confronto sereno, animato da una reale necessità di dialogo per il bene comune, ma soprattutto astrae la questione, facendola uscire dai normali contesti di assistenza dove comunemente viene vissuta e dove il linguaggio ha una sua valenza tecnica, e questo crea non pochi equivoci. Occorre, pertanto, assumere questa situazione e cercare di impostare la questione in modo più ampio evitando semplificazioni.
Per far questo ci sembrano adeguate due considerazioni preliminari:
1) Occorre riconoscere l’alleanza terapeutica tra paziente e personale sanitario come l’alveo naturale di riferimento per una comprensione adeguata della questione, oltre che elemento fondante la relazione di cura. Infatti, come reazione al «paternalismo medico» un tempo diffuso, nel pendolarismo che spesso caratterizza la storia, oggi frange della società civile spingono per un’autonomia assoluta del paziente, che quasi prescinda dal medico o ne faccia un semplice esecutore testamentario. Entrambe le visioni — quella del «paternalismo medico» e quella dell’autonomia assoluta — rischiano di dimenticare l’imprescindibile relazionalità nel processo del prendersi cura, dove la fiducia è un elemento irrinunciabile.
2) Nella dialettica tra curare (to cure) e prendersi cura (to care) occorre non sottovalutare come i progressi della medicina hanno fatto in modo che, tecnologie sempre nuove e che permettono interventi sempre più efficaci sul corpo umano, riguardino sempre più esplicitamente l’ambito del prendersi cura. Questo porta con sé da una parte il problema di un’eccessiva medicalizzazione della vita e del processo del morire e dall’altra la difficoltà di distinguere, relativamente alle tecniche a disposizione, l’ambito del curare e del prendersi cura.
L’alleanza terapeutica è altro rispetto a un contratto tra due parti che devono tutelarsi l’una dall’altra: chiama in causa la responsabilità dialogica di entrambi i soggetti coinvolti, delle loro coscienze, nel rispetto delle competenze del medico (e dell’équipe sanitaria) e dell’autonomia non assoluta (ab-soluta) del paziente, frutto di una relazione che da sempre lo costituisce.
Questo è l’appropriato contesto anche per una corretta valutazione delle pratiche di alimentazione e idratazione artificiale. Fatta salva la dignità della persona del malato, di cui sempre occorre prendersi cura qualunque sia la sua condizione clinica, non si può tuttavia ignorare la diversità delle situazioni con le loro molteplici variabili e con la necessità caso per caso di compiere un discernimento prudente della proporzionalità (da parte del medico e in generale del personale sanitario, tenendo in debita considerazione la volontà del malato) circa i modi e i tempi del procedere, perché il paziente possa continuare a vivere con dignità o con dignit! agrave; sia accompagnato nel processo del morire. Occorre, infatti, prendere atto e riconoscere con onestà (pur fuggendo, nel complesso, ogni idea latente o manifesta di eutanasia) che questi interventi a volte non ottengono il fine per cui sono istaurati o sono troppo gravosi per il paziente. Tale gravosità è necessario che tenga conto delle condizioni peculiari di ogni ammalato, delle sue forze fisiche e morali perché non si rischi, in alcune situazioni, in modo poco prudente, di richiedere comportamenti che risultino eroici. In queste circostanze, tali interventi, ci sembra, non sarebbero più forma concreta del prendersi cura dell’altro.
Ribadiamo pertanto l’importanza, per una comprensione adeguata della questione, di intendere «alimentazione e idratazione artificiali» nell’ambito della relazione terapeutica, che si configuri quale alleanza terapeutica tra paziente e personale sanitario e dove l’agire con prudenza potrebbe essere garantito dalla pluralità delle voci in una decisione partecipata.
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