Conte e la Dc.
La recente visita del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ad Avellino per commemorare e celebrare il centenario di un grande meridionalista democristiano come Fiorentino Sullo, ha avuto tre grandi meriti. Innanzitutto un riconoscimento pubblico ed autorevole – affatto non scontato – del ruolo storico e politico della Democrazia Cristiana. Un partito che ha avuto una responsabilità di governo per quasi cinquant’anni nella vita pubblica del nostro paese e che ha saputo, in quell’arco di tempo, conservare la democrazia, garantire lo sviluppo e accompagnare la crescita italiana. Un ruolo politico, culturale e sociale che, come tutti sanno, e’ stato pesantemente contestato e anche platealmente criminalizzato per molti anni da ampi settori della stampa italiana e da uno stuolo di intellettuali, commentatori e opinionisti che hanno individuato per molti lustri nella Dc la ragione e la causa di tutti i mali della politica italiana. In secondo luogo, al di là dell’inevitabile colore e goliardia di molti commenti giornalistici, l’intervento di Conte – soprattutto di fronte ad alcuni leader storici della Democrazia Cristiana, a cominciare dal Presidente Ciriaco De Mita – ha fatto emergere, per l’ennesima volta e per chi non lo sapesse ancora, che la Dc era un grande partito anche perché era espressione di una precisa e determinata cultura politica. Del resto, il cattolicesimo democratico, il cattolicesimo sociale e il cattolicesimo popolare non possono essere scambiati come semplici pillole propagandistiche disancorate dalla realtà. La Dc aveva un progetto politico, aveva un progetto di governo, aveva una visione di futuro perché possedeva una cultura di riferimento. Rinnegarla sarebbe semplicemente una miopia politica e una falsità storica. E il riconoscimento ad un leader come Sullo – come quest’anno si è fatto per lo statista piemontese Carlo Donat-Cattin nel centenario della nascita – e’ la conferma che quella cultura ha prodotto un fatto storico. Continuare a nasconderla o a sottovalutarla sarebbe semplicemente un falso storico e politico. In terzo luogo la presenza di Conte ad Avellino ha evidenziato, per chi se ne fosse dimenticato, che la Democrazia Cristiana aveva una qualificata, preparata ed autorevole classe dirigente. A livello nazionale ma anche, e soprattutto, a livello locale. Una classe dirigente che ancora oggi, dopo essere stata contestata, ridicolizzata e dileggiata per molti anni dopo tangentopoli e la fine di quella grande esperienza politica, continua a suscitare attenzione ed interesse per la qualità che sprigionava e per la capacità, nella coerenza dei comportamenti, di indicare la rotta e la bussola da perseguire per il bene dell’intero paese. Ecco, la visita e l’intervento di Conte ad Avellino hanno confermato questi tre aspetti. E di questo gli va dato atto. Dopodiché, e’ persin scontato sottolineare che non basta una celebrazione del passato per innescare un processo politico del futuro. Soprattutto in una fase politica dominata dal trasformismo e dalla prassi trasformistica. Dove le alleanze sono il frutto di convenienze giornaliere, dove le appartenenze politiche vengono sacrificate nell’arco di poche settimane per la conservazione del potere e dove, soprattutto, le culture politiche semplicemente non esistono più perché domina il pressapochismo, la superficialità e la leggerezza della classe dirigente. Insomma, la presenza dei cattolici democratici e popolari continua ad essere indispensabile e necessaria per il nostro paese. Con altre culture e altre esperienze politiche, com’è ovvio. Ma la presenza politica, culturale e programmatica di questo filone ideale non può essere semplicisticamente riproposto attraverso il richiamo della nostalgia o con una piroetta trasformistica. E questo per rispetto della Dc, del suo ruolo politico, della sua cultura politica e della sua autorevole ed irripetibile classe dirigente. Come, appunto, ha detto il Premier ad Avellino.
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