Francesco Meli, un grande tenore per una serata d’altri tempi
Al Teatro Municipale di Piacenza il “Verdi Opera Gala” con gli atti di Simon Boccanegra, Aida e Otello.
Il Municipale di Piacenza, grazie ad una illuminata guida artistica, ci ha abituati nel corso delle ultime stagioni ad appuntamenti che hanno confermato come dai teatri d’opera della cosiddetta provincia giungano spesso regali inaspettati. Ed ecco, fra i molti appuntamenti proposti in questo teatro, tutti di eccellente qualità, un quartetto di spettacoli da ricordare, che conferma quanto appena evidenziato: La Wally di Catalani (2017), La Gioconda di Ponchielli (2018), La forza del destino (2019) di Verdi e Andrea Chénier di Giordano (2019).
Quest’anno il Teatro piacentino si spinge oltre e prova addirittura ad andare controcorrente, proprio in tempi in cui i teatri sembrano aver dimenticato che i veri divi dell’opera sono i cantanti e non i registi. Si segue così il modello americano – o per rimanere in ambito italico nazional-popolare, quello dell’Arena di Verona, non nuova ad operazioni di questo genere – e si organizza un “Verdi Opera Gala” che ha come scopo proprio quello di rendere omaggio ad uno dei cantanti d’opera più in vista del momento, il tenore Francesco Meli, che a dicembre sarà al Teatro Scala di Milano, dove è già ben noto ed apprezzato, per inaugurare la stagione come Cavaradossi in Tosca di Puccini.
A Piacenza si monta un serata verdiana che gravita tutta attorno a lui, proponendo il secondo atto di Simon Boccanegra, il quarto atto di Aida e l’ultimo atto di Otello, che per di più lo vede per la prima volta avvicinarsi ad un ruolo che forse rappresenterà uno degli obiettivi ancora da raggiungere nella sua parabola artistica. Una parabola iniziata diversi anni fa come tenore di grazia, dotato di una voce baciata dalla natura, di timbro splendido oltre che schiettamente tenorile. Ma Meli ha sempre voluto, nel corso degli anni, sfidare se stesso, studiare ed analizzare tutte le sue possibilità, sperimentare nuovi percorsi e repertori, non fermandosi a quello dell’Ottocento romantico italiano che probabilmente ha cominciato, dopo alcuni anni di carriera, a stargli stretto. Non ha tentato la carta del repertorio francese, anche se affrontato con un Werther di Massenet e una Carmen di Bizet che a loro modo hanno lasciato il segno, ma si è spinto sul terreno verdiano e oggi su quello pucciniano, anche se in quest’ultimo caso avvicinato con cautela. In Verdi, invece, è divenuto tenore di riferimento, ed a livelli altissimi, come in molti casi ha dimostrato prendendo parte a spettacoli importantissimi ed avvicinandosi ai più diversi ruoli, sia del primo Verdi che di quello maturo.
Oggi a Piacenza celebra se stesso e appunto la piena maturità di interprete verdiano con una serata che inizia magnificamente mettendo in luce il suo Gabriele Adorno da Simon Boccanegra. Subito colpisce, oltre alla suddetta magnificenza del timbro e alla capacità che Meli ha di espanderlo in sala con una cavata di suono luminosa e all’occorrenza sfumata, la caratteristica che oggi lo rende fra i tenori più in vista a livello mondiale: il fraseggio. Meli va all’essenza del dettato espressivo, ricama ogni frase e in un contesto vocale come quello di Simon Boccanegra si trova perfettamente a proprio agio. In quello più eroico di una vocalità come quella di Radames in Aida e, nello specifico per un atto come quello che viene qui proposto, sa bene coniugare eroismo con dolcezza amorosa, canto sfumato con esternazioni eroiche che la sua voce non possiede ma che vengono comunque onorate a dovere senza far mancare nulla alla verità del personaggio, in virtù di un accento autenticamente verdiano e di un utilizzo di dinamiche e colori vocali attentamente meditati.
Il suo segreto sta nel senso profondo di quella “parola scenica” verdiana che trova pieno modo di esprimersi nel grande finale di Otello, dove Meli giganteggia. Certo il suo è un Moro di Venezia lontano dalla tradizione del tenore drammatico dalla sonorità scure e dai centri allargati alla quale una tradizione verista ci ha abituati. Meli lo affronta con quel bagaglio di conoscenza che affonda le radici nell’opera romantica ottocentesca italiana di Bellini e Donizetti, o di quel primo Verdi che ancora guarda agli ambiti del tenore romantico e costruisce una visione del personaggio forse stilisticamente più attinente al sentire dello stesso Verdi, che voleva dallo stesso primo interprete, Francesco Tamagno, più sfumature e meno esteriorità vocale. In un “Niun mi tema” da antologia, Meli accenta, sfuma e sussurra ogni frase o sillaba con un fraseggio miniato, funzionale al dettato drammatico, così da costruire, da autentico artista, un finale emozionante e carico di umana poesia nel morire sulla scena dando addirittura significato ai silenzi. Insomma una prova di intelligenza espressiva prima ancora che di resa vocale, che il tempo dirà se calzante o meno ad una parte che probabilmente è nei suoi progetti futuri.
Meli, in questo percorso verdiano piacentino, ha al suo fianco un contorno di tutto rispetto, con il baritono Kiril Manolov, abbastanza a fuoco, soprattutto come Doge Simone, Serena Gamberoni, che inizia bene come Amelia in Simon Boccanegra, ma come Desdemona in Otello canta la “Canzone del Salice” e l’”Ave Maria” con una certa fatica nel canto sfumato. Anche Vittoria Yeo, come Aida, sembra patire una vocalità drammatica che non le appartiene. Ottimi il basso Mattia Denti, nei panni di Fiesco, Ramfis e Lodovico e Cristina Melis come Amneris ed Emilia, più in ombra il giovane ed ancora acerbo Michele Patti, Paolo Albiani e Montano.
Il contorno scenico non è affatto banale. La regia, ideazione scenica e luci di Federico Bertolani utilizzano quinte nere che scorrendo formano ambienti ariosi e stilizzati, con giochi di luci che valorizzano i raffinatissimi costumi di Artemio Cabassi. Particolarmente riuscito l’atto di Aida, con la divinità alata che ad apertura d’atto crea il notturno clima sacrale sulle rive del Nilo con grande eleganza. Un contesto visivo mai scontato, al quale la bacchetta del giovane Michele Gamba, alla testa dell’Orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini, dona un accompagnamento musicale sempre funzionale e in linea con le esigenze del divo protagonista di una serata d’altri tempi, graditissima dal pubblico.
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