9 novembre 1989: il Muro è caduto

Trenta anni ci separano dalla caduta del Muro di Berlino: da quel 9 novembre 1989 che cambiò il volto dell’Europa. Sono passati tre decenni da quell’autunno nel quale tutto si mise in moto che diventa persino difficile ricordare esattamente quale ne fu il momento iniziale.

Gli avvenimenti si dipanarono in modo apparentemente casuale e poco collegati tra loro; in estate, dopo la metà di agosto, l’Ungheria aveva aperto le sue frontiere con l’Austria, divenendo, nel corso dei giorni, un attraente corridoio verso l’Occidente e la libertà. Così a partire dal mese di settembre, attraverso la Cecoslovacchia cominciarono ad affluire verso l’Ungheria decine di migliaia di tedeschi dell’est. Uscivano dalla Germania orientale, varcando il confine cecoslovacco e poi quello magiaro, per fuggire verso Vienna.

Il governo tedesco, prima guidato da Erich Honecker e poi da Egon Krenz, non sapeva bene cosa fare. Certo, si sarebbe potuto usare la forza e altrettanto poteva fare l’Unione Sovietica che, nei decenni precedenti, aveva sempre soffocato con le armi qualsiasi rivolta nei satelliti dell’est. Anche Berlino, nel 1953 aveva assaggiato il bastone sovietico, usato poi a Budapest nel 1956, a Praga nel 1968 e a Varsavia nel 1981. Stavolta però era diverso. A Mosca c’era un leader come Michail Gorbaciov, differente da quelli che lo avevano preceduto e che si rivelerà – al di là del ruolo morale giocato da Giovanni Paolo II – il vero grande artefice della liberazione dell’est europeo.

In quell’autunno 1989 fu subito chiaro alle autorità della Germania comunista che l’Urss, impegnata nelle sue difficili riforme connesse alla Perestroika, non avrebbe usato le truppe per puntellare un regime ormai traballante. E così si giunse all’apertura dei varchi, senza squilli, quasi alla chetichella.

Nel pomeriggio del 9 novembre in una conferenza stampa il funzionario del governo, un certo Gunter Schabowski, alla domanda se i berlinesi dell’est potevano andare ad ovest, disse di sì, purché avessero i documenti in regola. Poi qualcuno gli chiese a partire da quando ci sarebbe stata piena libertà di movimento e con la massima naturalezza rispose: “per quanto ne so, da subito”. Fu un attimo e da quell’istante fu come se il Muro non servisse più a niente, fosse crollato senza cadere fisicamente. Quella stessa sera stessa decine di migliaia di persone sfollarono verso la parte ovest di Berlino, verso una libertà attesa da decenni e finalmente a portata di mano.

Da quel momento tutto a cominciò a muoversi vorticosamente e come in un gigantesco domino, le pedine crollarono ad una ad una, travolgendo la cortina di ferro. Inamovibile da quasi mezzo secolo, il comunismo in poche settimane cessò di esistere in Polonia, Ungheria, Bulgaria e Cecoslovacchia e tutto, tranne in Romania, avvenne senza spargimento di sangue. Di lì a poco sarebbe poi iniziato il processo di riunificazione della Germania dopo la divisione patita in seguito alla Seconda guerra mondiale.

A trent’anni di distanza, si possono meglio misurare luci ed ombre di quanto è accaduto. Il crollo del comunismo, pur auspicato da tutti i veri democratici, ha lasciato il capitalismo senza avversari e ne è emerso un liberismo che ha spalancato le porte ad inaccettabili disuguaglianze con una globalizzazione senza regole che sta mandando in crisi le nostre democrazie. Una crisi che tocca l’Europa al suo interno, poiché i Paesi dell’Est stanno voltando le spalle all’Unione abbracciando un nazionalismo che mette in pericolo l’integrazione europea.

Questioni in cui ci dibattiamo senza aver ancora individuato una ragionevole via di uscita, ma che allora, in quel meraviglioso autunno del 1989 erano del tutto inimmaginabili. A quel tempo soffiava un vento colmo di speranze, su un’Europa finalmente libera da quella cortina di ferro che l’aveva divisa per decenni.

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