La Resistenza a Rosignano Monferrato – Violenza nazifascista fra le colline

Tra l’estate e l’autunno 1944 i comandi nazifascisti prepararono un’offensiva coordinata su tutto il Monferrato, muovendo da Casale Monferrato, Valenza, Asti, Alessandria, Chivasso,Vercelli. Oggetto dell’operazione fu l’indebolimento delle formazioni partigiane che più si erano segnalate negli ultimi mesi: le Brigate della Divisione Garibaldi e della Patria, della Matteotti e della Monferrato, verso Asti e Chivasso; le bande Lenti e Tom, di chiara matrice collinare. Mutò la tattica d’attacco. Mentre nella fase precedente si era puntato alla superiorità numerica degli uomini, con grande impegno anche di colonne motorizzate, nell’autunno si fece ricorso ad azioni improvvise, ripetute e sistemiche. Non v’era giorno che le formazioni partigiane non registrassero scontri con il nemico. Proprio questa frequenza di attacchi rese difficili e poco coordinata la risposta delle bande partigiane. Anche il recente e fortunoso ritrovamento di alcuni fonogrammi tedeschi documenta, da fonte avversa, come vi fu una sequenza accelerata di attacchi.

L’offensiva nazifascista mirò soprattutto ad indebolire il rapporto di collaborazione, rafforzatosi negli ultimi mesi, fra la popolazione civile e i partigiani. Nella primavera e durante l’estate, si sviluppò, infatti, quel processo di avvicinamento fra gli interessi degli agricoltori monferrini e delle bande dei ribelli. Come le testimonianze documentano, non si giunse ancora ad una piena e diffusa collaborazione. Le remore ideologiche e i valori tradizionali, le preoccupazioni economiche del quotidiano, giocarono ancora un ruolo; l’attendismo del primo semestre ‘44, tuttavia, lasciò spazio alla condivisione delle speranze di riscatto sociale e civile. I comandi nazifascisti vollero, con l’offensiva d’autunno, porre in crisi quest’evidente ed avviata collaborazione fra civili e partigiani. Le squadre tedesche, quasi sempre aiutate da fascisti locali, giungevano in paese e procedevano a saccheggi e rastrellamenti. L’elenco sarebbe interminabile.

Si colpì, esemplarmente, la popolazione civile. Dopo Vignale, Camagna, Moncalvo, toccò a Rosignano Monferrato. L’11 settembre il paese venne devastato dai tedeschi. Parecchie case incendiate. Settanta persone furono condotte nella piazza del paese e rilasciate solo a fine giornata. Questa la testimonianza scritta, consegnata all’autore molti anni fa, della signora Re Giovanna, una delle vittime dei saccheggi dell’11 settembre a Rosignano: “È l’11 settembre 1944, alle 9 circa del mattino due autocarri zeppi di fascisti e di SS irrompono nel centro abitato di Rosignano Monferrato e si accampano in Piazza ing. Enrico Faletti, comunemente detta “sutta ‘l castè”. Iniziano il rastrellamento per il paese e catturano tutti gli uomini che in quel momento si trovano in paese e li radunano nella piazzetta limitrofa al bar. Nel contempo requisiscono tutte le radio, biciclette e maiali che trovano. Caricano il bottino sugli autocarri e lo trasportano nei magazzini di Casale. La causa che ha provocato questo rastrellamento è da attribuirsi probabilmente alla denuncia di alcune spie fasciste e dal fatto che periodicamente i partigiani della banda Tom si recavano a Rosignano per rifornirsi di viveri. Le truppe fasciste sono guidate dal famigerato Iannuzzi (Mario Iannuzzi capo operativo della GNR di Casale, tenente delle Brigate Nere, guidate da Giuseppe Sardi). Dopo la razzia, nel pomeriggio, si recano in municipio dal segretario comunale sig. Novarese per avere i nominativi dei giovani della leva 1923 e scoprire i renitenti. Dopo averlo consultato, si delineano due soluzioni: o fucilare i 72 uomini radunati nella piazza centrale del paese o distruggere le case dei renitenti. Decidono di bruciare tre case. La prima in Via Madonna delle Grazie del Sig. Caprioglio Luigi, mettendo una bomba dirompente in cucina. La seconda in via della Sorgente di proprietà del Sig. Innocenzo Massimo: è stata messa una bomba incendiaria sotto il porticato che ha distrutto tutti gli attrezzi agricoli ed il fieno riposto sulla cascina sovrastante. La terza, infine, è quella del Sig. Re Cornelio Pio. I renitenti in questa famiglia sono addirittura tre. Inoltre Re Pio era segnalato anche collaboratore per i campi di concentramento tedeschi, compito peraltro mai svolto (per chiaro dissenso). I nazi-fascisti sfogano la loro rabbia per tutti questi rifiuti, concedendo cinque minuti di tempo per sgomberare la casa. Scaduto il termine, collocano una bomba dirompente e due incendiarie sulle quali è stata gettata della carta come esca per il fuoco. È da notare, inoltre, che in casa Re erano ospitati anche due ebrei, i fratelli David e Ines Fitz di Casale. Sfuggiti alla retata dell’Ospedale Santo Spirito, riescono a salvarsi anche questa volta, scappando precipitosamente prima dell’arrivo dei nazi-fascisti. Durante la razzia essi rubano tutto quello che possono asportare, bevono i liquori (in particolare grappa) che si trovano quasi in tutte le case, dal momento che la maggior parte dei contadini erano anche soci della Distilleria Cooperativa di Rosignano.

Alle 17 circa, quando se ne vanno, sono ubriachi e liberano gli uomini radunati in piazza. Subito tutti accorrono alle case in fiamme, salgono sui tetti e segano le travi in legno che potrebbero trasmettere il fuoco anche alle abitazioni attigue. A notte gli incendi sono domati. Ciò che resta di tre case, i ricordi di tre famiglie, tutti i loro beni non sono altro che cenere”. Il parroco don Ernesto Porrato, anziano e ammalato restò in canonica (morì l’8 dicembre 1944), mentre il curato don Ernesto Amisano e il viceparroco don Fedele Calcagno vennero coinvolti; la casa parrocchiale fu perquisita e derubata. In piazza, il curato don Amisano intervenne risoluto contro il maggiore tedesco Meyer e i fascisti casalesi delle Brigate Nere. Il maggiore Meyer minacciò il curato che sarebbe stato la prima vittima. Ci fu uno scontro in piazza. Fra le persone catturate e radunate con violenza, vi erano don Amisano, il medico dott. Francesco Gagliardone, famiglie di antifascisti, contadini, artigiani, giovani. Ore di incertezza e terrore. La violenza nazifascista terminò, grazie ad un intervento di Raimondo Codicini, interprete di tedesco, ed una pubblica supplica. Il Vescovo Giuseppe Angrisani giunse a fine pomeriggio, ma il peggio era già stato scongiurato.

Della rappresaglia dell’11 settembre ’44 ne parla Angrisani nel suo diario “La croce sul Monferrato durante la bufera” edito a marzo 1946 e da ultimo ripubblicato con integrazioni e note nel 2015 a cura del settimanale Vita Casalese, diretto da don Paolo Busto. La famiglia Fitz era una delle più cospicue ed influenti famiglie della comunità ebraica casalese. Nati come banchieri fin dal VIII secolo, erano conosciuti in città anche per le attività filantropiche. Particolarmente noto era il Dottor Riccardo Fitz che con il fratello geometra Roberto venne deportato ad Auschwitz; l’altro fratello Raimondo, padre della sig.ra Erminia, si salvò grazie all’aiuto di persone amiche del genero residenti nella zona di Cherasco. David ed Ines riuscirono a fuggire, dopo l’incendio della casa dei Re in occasione della rappresaglia del 11 settembre 1944 e poterono espatriare grazie alla rete creata in Monferrato da Giuseppe Brusasca. Il grave fatto di violenza compiuto a Rosignano venne progettato e condotto dalla GNR di Casale e dal presidio tedesco per alcune evidenti ragioni tattiche ed offensive: – Rosignano era ed è oggi un comune nella prima cintura di Casale Monferrato; data la prossimità alla città, erano facili le scorribande fasciste e le rappresaglie, senza correre troppi rischi; i partigiani ed antifascisti qui ebbero ospitalità e sostegno dalla popolazione nei mesi precedenti; il clero locale non aveva dubbi nell’aiutare i renitenti e le formazioni partigiane.

A Rosignano vi erano famiglie ebree nascoste, come i fratelli Roberto e Riccardo Fitz, Davide e Ines Fitz. La Banda Lenti e la Banda Tom avevano a Rosignano collegamenti e informatori per poter arginare subito ogni offensiva fascista proveniente dalla pianura; la Banda Lenti si era fatta promotrice della difesa dei raccolti contro la logica ferrea degli ammassi dei fascisti e alle loro requisizioni. La rappresaglia e l’attacco si delineavano come avvisaglia di altri attacchi che sarebbero seguiti in tutto il Monferrato, avrebbero dovuto produrre un effetto dissuasivo sulla popolazione civile. – nella notte e il giorno dopo 12 settembre, i nazifascisti realizzarono la cattura della Banda Lenti a Madonna dei Monti di Ottiglio e uccisero poi i 27 partigiani a Valenza, senza alcun processo e con una crudeltà inaudita.

La rappresaglia e il saccheggio di Rosignano furono un’anticipazione per la cattura nella notte della Banda Lenti. In data 11 settembre 1947, gli abitanti di Rosignano redassero una pergamena-documento a ricordo del fatto. Ecco il testo: “L’11 settembre 1944, durante il periodo della dominazione nazifascista in Italia, una colonna motorizzata tedesca al comando del Maggiore Majer, comandante della piazza militare di Casale, salì su questo colle per compiervi una feroce rappresaglia. Era stato ucciso al bivio di S. Germano un tedesco e della uccisione erano stati incolpati alcuni partigiani oriundi di Rosignano. Sessanta uomini circa vengono tradotti sulla Piazzetta di S. Pietro; si spianano le mitragliatrici … la morte è alla gola Nel frattempo il paese è messo al saccheggio, mentre ad alcune case di giovani renitenti alla leva nazifascista viene appiccato il fuoco. Una tremenda irreparabile sciagura sta per abbattersi sulla pacifica popolazione! Per fortuna e per i buoni uffici d’un interprete tedesco, domiciliato in paese, il sig. Raimondo Godicini di Bologna, la belva teutonica poco a poco si ammansisce…

Dopo sei ore di agonia, la grande parola ai sessanta condannati è pronunciata : “Tornate alle vostre case”. Esempio unico forse in tutta Italia di remissione tedesca! La Madonna dell’Assalto, patrona di Rosignano, ancora una volta ha compiuto il miracolo. A perenne riconoscenza alla Vergine Liberatrice e a perenne ricordo dell’avvenimento, oggi 11 settembre 1947, presenti Autorità e Popolo, questa pergamena recante la firma degli uomini liberati dalla minacciata rappresaglia, viene deposta nella nicchia che la popolazione riconoscente eresse ad onore della Madonna l’11 settembre 1946, essendo Prevosto il sac. Dott. Don Primo Devasini e sindaco il sig. Guglielmo Saracco.

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