Gian Carlo Caselli – Stefano Masini: c’è del marcio nel piatto
Nel nostro Paese, il comparto agroalimentare muove circa 140 miliardi annui, occupando 850mila addetti, compresi quelli impiegati direttamente nell’agricoltura. Un settore dunque di notevole incidenza economica, che aiuta a rendere positiva la nostra bilancia commerciale, attraendo cospicui investimenti. Tutto questo lo rende, purtroppo, un settore capace di attrarre la criminalità, consentendo affari illeciti a bassa intensità di esposizione sia di capitali che di tecnologia. I metodi utilizzati sono quelli di sempre: intimidazione, assoggettamento, violenza. In particolare un ambito in cui è più rilevante la presa delle organizzazioni criminali è quella della sofisticazione degli alimenti, attraverso una sistematica attività di contraffazione tale da mettere a repentaglio la nostra sicurezza alimentare. Affrontano questo tema l’ex giudice Gian Carlo Caselli, oggi presidente del Comitato scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e Stefano Masini, docente di Diritto agroalimentare all’Università di Tor Vergata, nel libro “C’è del marcio nel piatto” (edizioni Piemme). Una sorta di manuale per tutelare il consumatore di fronte alla criminalità che attenta alla nostra salute. Ogni capitolo ha il titolo di una favola, legato ad un argomento che in qualche modo la richiama: ad esempio, Pinocchio per parlarci delle “bugie delle etichette”; Alice nel paese delle meraviglie, per raccontarci che le cose sono spesso diverse da come appaiono (pensiamo al finto made in Italy); Aladino, il genio della lampada che “esaudisce i desideri”, per farci riflettere su una pubblicità che spesso promette e poi non mantiene.
Di certo, riguardo alla nostra sicurezza alimentare andrebbe estesa la possibilità di analisi del Dna dei prodotti e servirebbe la cosiddetta etichetta parlante per una miglior informazione per il consumatore e datata di una tracciatura vincolante che non riguardi solo le date di scadenza ma anche: origine, trasformazioni ed ingredienti. Le agromafie in questi anni sono divenuto più forti e uno snodo decisivo per il loro contrasto può rivelarsi la legge sul caporalato approvata tre anni fa, prima firmataria l’attuale ministro delle Politiche agricole, Teresa Bellanova. Oltre a colpire il caporalato è stata meglio configurata la responsabilità del datore di lavoro che va sanzionato penalmente per qualsiasi situazione di oggettivo sfruttamento, anche se non vi è l’esplicita intermediazione del caporale. Si tratta quindi di una legge innovativa, efficace sul piano repressivo che ha consentito decine e decine di arresti e che, non a caso, altri Paesi europei pensano di introdurre nel loro ordinamento.
Certo, emergono difficoltà attuative soprattutto se manca dal basso, ovvero sul territorio, il collocamento obbligatorio perché il caporalato è un problema strutturale poiché una parte ragguardevole della nostra economia usa questo sistema per ricavare maggiori profitti. Un giro, quello delle agromafie, stimato attorno ai 20 miliardi annui, in costante crescita nell’ultimo decennio, caratterizzato da un insieme di molteplici attività che vanno dall’acquisto di terreni agricoli, alla gestione dei sistemi di trasporto o delle risorse idriche. Sulla distribuzione il controllo si è fatto talmente penetrante da giungere sino a fissare i prezzi e questa massa di proventi illeciti viene poi impiegata per rilevare alberghi ed esercizi commerciali. Anche settori apparentemente collaterali, come la fornitura di sacchetti di plastica o di cassette di legno, divengono occasione di profitto. Vengono infine utilizzate tutte le opportunità per rastrellare fondi pubblici, specie quelli provenienti dall’Unione europea che rappresentano una ghiotta torta di 27 miliardi di aiuti diretti agli agricoltori. E l’orizzonte di questa criminalità adesso si allarga anche al comparto biologico e alla contraffazione con il commercio di prodotti pseudo nazionali, con scritte del genere tradizioni italiane o simili, ma di veramente italiano vi è nulla. Una situazione insomma di largo spazio per la criminalità che va stroncata per il danno che crea all’intera comunità nazionale.
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