I caratteri distintivi della Resistenza nel Monferrato casalese

Difficile e originale

Il Monferrato casalese era già allora geograficamente collocato al centro di un quadrilatero delimitato da grandi vie di comunicazione, viarie e ferroviarie, da città come Alessandria, Casale, Asti, Valenza, Chivasso, Torino, Vercelli. Le truppe tedesche occuparono con molti presidi e postazioni tutta la zona, controllando tutte le vie d’accesso (strade, ponti, ferrovie). I fascisti durante il Regime, i repubblichini dopo l’8 settembre, assicurarono sempre una presenza organizzata in tutta l’area, con strutture e dirigenti operativi. Su queste premesse geografiche e militari, si coglie come fu particolarmente difficile l’esordio della Resistenza. Senza alcun dubbio fu più semplice organizzare le formazioni partigiane nelle valli delle Prealpi o degli Appennini.

Nel Monferrato casalese, invece, le prime formazioni partigiane ed il primo dissenso esplicito contro l’occupazione tedesca dovettero affrontare rischi significativi. Dovettero contrastare una presenza pervasiva delle forze militari tedesche ed un sostegno sinergico e capillare della RSI. Fin dal primo avvio, fu una Resistenza originale, perché sorse dall’integrazione fra il mondo contadino della collina e le realtà operaie e borghesi della città, con immediata spontaneità. Così nacquero la banda di Guaschino-Venier a Gabiano, la banda Fox di Ronco a Mombello, la banda Lenti a Camagna, la banda Tom fra Ottiglio e la Valle Ghenza, le bande autonome dei fratelli Gabriele e Sergio Cotta fra Robella, Brusasco e Cavagnolo; la banda del Tek Tek a Grana, la banda di Beccuti a Calliano, la banda del Giusto Dellavalle a Moncalvo. Fra le colline, la Resistenza si affermò spontaneamente e solo più tardi, a fine ’44 ed inizio ’45, conobbe un’organizzazione strutturata. Il dissenso, il contrasto alla rinascita del fascismo nella RSI e la chiara lotta di liberazione nei confronti dei tedeschi occupanti dovettero subito fare i conti con un nemico tangibile e determinato, la cui presenza sul territorio era diffusa e ramificata.

I recenti fonogrammi tedeschi (alcuni con la firma autografa del maggiore Meyer, responsabile della fucilazione della banda Lenti, dell’eccidio di Villadeati, della fucilazione della banda Tom) trovati in una soffitta ad Alfiano Natta documentano come le truppe tedesche controllassero ogni movimento, con l’ausilio sistematico dei fascisti. Le prime formazioni partigiane sorsero per autogenesi, grazie ad un forte radicamento e sostegno della popolazione locale, con caratterizzazioni e dinamiche differenti. Al loro sorgere, le formazioni furono aiutate in modo rilevante dalla presenza di ex militari, ex alpini, ex carabinieri, ex avieri.

Corale e pluralista

Fin dal suo esordio, la Resistenza si caratterizzò per un’evidente coralità delle matrici ideali-culturali che l’ispirarono. Vi fu la componente comunista, radicata già nel territorio e interpretata da episodi di chiaro antifascismo durante il ventennio di Regime, ora rappresentata all’interno del mondo operaio; vi fu la componente cattolica, espressa nelle figure del Vescovo di Casale Monsignor Giuseppe Angrisani e di molti parroci, fra i quali non si può scordare il sacrificio di don Ernesto Camurati (originario di San Salvatore Monferrato) ucciso dai tedeschi a Villadeati, con altri nove capi famiglia; dei quadri dell’Azione Cattolica e di molti volontari già operanti nelle organizzazioni sociali cattoliche, delle staffette partigiane coraggiose come Ernestina Valterza; vi fu la componente socialista, legata alle esperienze operaie e cooperativistiche; vi fu la componente liberale ed azionista, ancorata alla storia culturale del Piemonte; vi fu la componente badogliana, ispirata da una visione patriottica di uno Stato unitario forte.

Tutte queste diverse matrici ideali-culturali si mescolarono, in un’alleanza ideale proiettata verso una nuova fase storica. Nel Monferrato operarono le Brigate Garibaldi, le Matteotti; la Divisione Patria, la Divisione Autonoma Monferrato, alcune formazioni di Giustizia e Libertà. La Resistenza fu corale e pluralista anche per la partecipazione sociale che la caratterizzò. Al movimento partigiano ed alla lotta di Liberazione, nel suo insieme, diedero contributi significativi tutte le componenti sociali di allora: dai giovani studenti liceali ed universitari ai militari, avieri ed alpini, carabinieri; dalle famiglie contadine agli operai ed artigiani della città, alle popolazioni rurali della collina; dagli insegnanti delle scuole superiori ad alcuni professionisti ed imprenditori; dal clero alle organizzazioni sociali cattoliche.

Questa coralità, anche sociale, di impegno contro l’occupante tedesco ha necessariamente interagito con la presenza a Casale e Moncalvo della comunità ebraica; la comunità era parte attiva da secoli della vita economica e pubblica del Monferrato. Le leggi razziali, la violenza della RSI distrussero la comunità, ma a pari tempo fecero emergere una solidarietà nascosta e diffusa della gente comune, dei parroci verso gli ebrei. Fra le colline si scrissero pagine singolari di soccorso vicendevole, di grande rispetto per l’autentica libertà di fede e di opzione ideologica. Un ruolo significativo, in parte ancora da esplorare completamente, venne svolto da alcune missioni anglo-americane o inglesi paracadutate nel Monferrato. Le missioni, al comando del maggiore inglese Leach, nei mesi precedenti la Liberazione assicurarono armi, munizioni, mezzi ed istruttori per sabotaggi, alimenti, vestiario, radio trasmittenti. Le formazioni partigiane percepirono, quindi, come la lotta di Resistenza ai tedeschi occupanti fosse condivisa anche da altri popoli, da sempre liberi. Si ricordano le missioni Morristown, Youngstown, Bet, Edison, Lana 2; le missioni erano correlate con il SIM italiano, con il SOE inglese e con il OSS americano.

Aperta e collaborativa

La Resistenza non fu espressione chiusa di gruppi militari o di cerchie ristrette di ribelli. Alcuni antifascisti casalesi operarono in formazioni partigiane nel Canavese e in Val di Susa, nel Varesotto e nel Pavese. Comandarono bande locali, con gesti di eroismo e furono vittime dei tedeschi. Nelle formazioni partigiane, di contro, operarono giovani ed ex militari provenienti dalla Val di Lanzo, dalla Val Susa, dal paese di Mathi e dalla Val d’Ossola. Ci fu una mutualità tra le formazioni partigiane e il resto della Resistenza in Piemonte. Ne sono testimonianza le figure di Italo Rossi e Sergio Morello, comandanti partigiani uccisi in Val di Lanzo e nel Canavese; la figura di Francesco Alfieri Greppi ucciso ad Usseglio nel settembre ’44; in Monferrato, sono testimonianza le figure di Angelo Bordino e Nicola Marchis, di origine canavesana e componenti della banda Lenti, uccisi a Valenza e a Vignale, di Miracapillo Bruno Savino, ucciso a Cantavenna; di Maugeri Giuseppe, ucciso con la banda Tom a Casale. Bizzarro partì con una sessantina di altri giovani, in una domenica di fine ottobre ’44 dalla piazza dell’Addolorata di Casale, alla volta di Arcesa in Valle d’Aosta. Qui organizzarono le prime formazioni partigiane locali; dopo la morte del compagno Carrera, ucciso dai tedeschi e fascisti di Aosta, Bizzarro ritornò a Casale per le esequie, ma venne catturato.

Identitaria e fondativa

La Resistenza consolidò, proprio per la sua caratterizzazione e poi per il suo manifestarsi organizzato, l’identità di area forte da sempre assunta dal Monferrato. Fu proprio così. Anche la Resistenza confermò il ruolo protagonista del Monferrato nella storia di questo pezzo di Piemonte. Già a fine ‘800 e nell’avvio del ‘900, il Monferrato visse una storia protagonista, esprimendo figure decisive nella politica, nella cultura, nell’economia, nell’arte, nell’agricoltura e nella socialità. Il Monferrato non visse mai la propria storia in maniera residuale e marginale, ma seppe guidare i processi di cambiamento. Anche nella Resistenza non mancò questo ruolo protagonista. Si pensi, ad esempio, alla figura di Giuseppe Brusasca, militante nel Partito Popolare di Sturzo e sostenitore delle prime formazioni partigiane, amico di alcune famiglie ebree casalesi, divenne vice-presidente del CNLAI, primo Presidente della Provincia dopo la Liberazione, poi sottosegretario di Stato. Si pensi ad Eusebio Giambone, nato a Camagna, militante comunista, carcerato più volte dai fascisti, rifugiato in Francia, divenne elemento di spicco dell’antifascismo piemontese e membro del Comando Militare Regionale Piemontese. Venne fucilato al Martinetto a Torino il 5 aprile ‘ 44. L’esperienza resistenziale fortemente partecipata da apporti diretti, autorevoli e convinti, contribuì a consolidare una precisa identità di area, distintiva rispetto al resto del Piemonte. Fu una Resistenza coraggiosa, originale, identitaria, ma soprattutto fondativa della nuova coscienza civile che, mese dopo mese, stava sorgendo fra le colline. La Resistenza non fu la sommatoria casuale di eventi, ma costruì, goccia dopo goccia, una nuova sensibilità democratica condivisa.

Crudele e violenta

L’esperienza resistenziale vissuta fra queste colline fu pesante, in termini di prezzo pagato alla vita. La vicenda della banda Lenti, formazione partigiana simbolo della lotta coraggiosa per la libertà, arrestata al completo e immediatamente fucilata a Valenza; la vicenda della banda Tom, anche qui catturata ed eliminata a Casale nel gennaio ’45, mentre mezza Italia era già libera; l’eccidio di Villadeati, con il parroco don Camurati e nove capifamiglia uccisi in piazza; Arduino Bizzarro, per ben otto mesi in carcere, poi ucciso in uno scontro a fuoco con i fascisti, senza pietà; molti altri partigiani uccisi fra le colline e sulle rive del Po, catturati in scontri diretti e talvolta con delazioni ripetute, come Mario Talice, Livio Cover, Lazzaro Neno Lazzarini, Alfredo Piacibello, Pietro Pagliolico, i fratelli Rossi; i partigiani uccisi a Ticineto (Grassi Pierino Lorenzo, Rossini Aimo, Zemide Giovanni, Rota Silvio, Scagliotti Edoardo, Rotelli Augusto), a Valenza ed a Castelletto Monferrato nel giorno della Liberazione; le violenze subite dalla popolazione civile, come gli attacchi e rastrellamenti, la battaglia di Cantavenna, gli scontri di Gabiano; i rastrellamenti, i saccheggi e incendi a Rosignano Monferrato; le vittime inconsapevoli e molte volte ingenue registrate tra le file della nuova Repubblica di Salò o fra le formazioni collaboranti; ebbene, tutte queste vite sacrificate connotano ancora oggi la Resistenza nel Monferrato e nel Valenzano come un’esperienza crudele e violenta. Il Monferrato pagò un prezzo molto alto per voltare pagina, per superare un passato nefasto e creare condizioni nuove di libertà. La Resistenza nel Monferrato casalese fu un fenomeno complesso, articolato, a più voci: non è corretta una sua interpretazione manichea e semplificatrice, in chiave contrappositiva. Leggere, conoscere, incontrare in queste pagine mille fatti, volti, vicende, ideali e talvolta anche sogni, ci deve condurre dalla nuova coscienza civile di allora ad una consapevolezza storica comune di oggi.

Per approfondire, si veda di Sergio Favretto “Casale Partigiana”, pag. 32 edita da Libertas Club nel 1977; ancora di Sergio Favretto “Resistenza e nuova coscienza civile” pag. 86-87, edita da Falsopiano Editrice nel 2009.

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