Piazza Fontana: la strage impunita
Ancora troppi e pressoché insoluti i misteri italiani: dal caso Moro all’aereo di Ustica, al treno Italicus, ma tra tutti svetta la bomba di piazza Fontana: la madre di tutte le stragi. Perché in fondo è lì che cominciò tutto, in un pomeriggio di cinquantanni fa.
Era il 12 dicembre 1969, quando alle 16,37 un ordigno scoppiò nel salone della Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana a Milano. Diciassette i morti, oltre ottanta i feriti per una strage rimasta impunita: tragico e beffardo bilancio di una vicenda giudiziaria che si è trascinata lungo i decenni.
All’inizio, appena dopo lo scoppio, qualcuno pensò ad una caldaia poi rapidamente si comprese che era stata una bomba. Un potente ordigno collocato sotto il tavolo del salone centrale della banca, a quell’ora ancora piena di gente, in quanto il venerdì era giornata di contrattazione fino a sera tra mediatori, commercianti ed agricoltori. In quelle stesse ore, sempre a Milano, presso la Banca Commerciale un’altra bomba rimase inesplosa. Gli artificieri disinnescarono l’ordigno ma la borsa che lo conteneva, probabilmente simile a quella di piazza Fontana e che avrebbe potuto fornire qualche indizio, non mai più trovata: scomparsa nel nulla, trafugata da qualcuno che, sin da subito, voleva intralciare le indagini.
E fu solo il primo tassello di un sistematico depistaggio, di una pervicace cortina di fumo gettata sulla ricerca della verità che proseguirà nei mesi e negli anni successivi. Alcuni apparati dello Stato coprirono quegli ambienti neofascisti che idearono e realizzarono la strage, tentando di addossare ogni responsabilità all’estrema sinistra. Non a caso il primo arrestato fu Pietro Valpreda, un ex ballerino che bazzicava nei circoli anarchici milanesi e da quel mondo proveniva anche Giuseppe Pinelli, che trovò la morte cadendo dal balcone degli uffici dalla questura. Non si saprà mai con certezza cosa accadde realmente.
La sola certezza sono le complicità di una parte dei servizi segreti e le organizzazioni dell’estrema destra, come Ordine nuovo, cui appartenevano Franco Freda e Giovanni Ventura, principali indiziati e poi, dopo una prima condanna all’ergastolo, inframmezzata da rocambolesche fughe dal carcere, definitivamente assolti nel 1987. Tutti assolti: nessun colpevole, per uno dei più tragici fatti di sangue della nostra storia repubblicana, da cui aveva preso inizio la trama stragista dell’ultra destra che ritroveremo all’opera nel 1974, a Brescia in piazza della Loggia e sul treno Italicus, e nel 1980 con gli 85 morti per la bomba alla stazione di Bologna.
Una strategia volta a creare nel nostro Paese un clima di tensione, incolpandone la sovversione di sinistra e preparando quindi una reazione autoritaria per porre fine ai disordini. Da un lato alcuni apparati dello Stato, che poi scopriremo essere infiltrati da esponenti della loggia massonica deviata P2 (attiva con analoghi depistaggi anche durante la prigionia di Aldo Moro) che avevano in animo una svolta conservatrice per bloccare le aperture democratiche e le conquiste sociali di quegli anni. Dall’altra un’incontenibile eversione di destra, pronta ad un drammatico tributo di vite innocenti pur di realizzare i propri folli disegni ideologici. Due mondi che si incontrano e che, pur diffidando l’uno dell’altro, si sostengono poi a vicenda.
Ne è derivata una fitta ed inestricabile ragnatela di omissioni, di legami e di complicità che ha avvolto l’Italia e di cui, nonostante l’impegno della magistratura, non si è mai riusciti a scoprire né i mandanti né gli esecutori. Un intreccio di coperture e di protezioni, anche a livello politico, camuffate dietro lo scudo della Guerra fredda e la necessità di contenere il comunismo, da attuarsi con qualsiasi metodo, ha finito per impedire l’accertamento della verità.
E così a mezzo secolo di distanza, piazza Fontana resta, col suo carico di dolore, la strage impunita per eccellenza. Assurdo finale di una pagina tanto tragica.
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