Meno celebrazioni e documenti, più pensiero e azione politica

Nelle settimana passate si è, senza troppa enfasi né grandi spazi dedicati, proposto qualche commento alla iniziativa di alcune associazioni che fanno riferimento al popolarismo che intendono costruire uno spazio politico autonomo; i commenti, in genere, sono stati perplessi e dubbiosi.

Il tema, però, resta e non può essere accantonato con autosufficienza: quale ruolo sociale e politico per i “popolari di ispirazione cristiana” in Italia oggi?

Il “cattolicesimo democratico”, in concreto il cattolicesimo politico più attento al sociale, al solidarismo comunitario, e all’equità, nell’Italia di oggi pare avere sempre meno rilevanza (come da intervista del Card. Ruini al Corriere di inizio novembre). Ma si dovrebbe avere anche l’umiltà di riconoscere che questa condizione è stata provocata, proprio negli anni in cui il porporato governava i Vescovi e la Chiesa italiani, quando si compì la scelta di essersi appoggiati alla parte vincente sacrificando una originalità di presenza e indebolendo il laicato impegnato in politica con il fatto che mediazioni e accordi avvenivano altrove” (Ernesto Preziosi)

E’ anche vero che non si è più investito da tempo in progetti di formazione alla presenza e all’impegno pubblico, favorendo la diaspora e l’afasia di cui di tanto in tanto ci si lamenta. Come dice l’ex parlamentare e già Presidente della Provincia di Trento Dellai, a molti nella gerarchia spaventano ancora progetti animati da cattolici “adulti” che si misurano laicamente con le sfide della modernità” cioè “la sussistenza o meno di una potenziale, spendibile, riconoscibile attualità della cultura politica del Popolarismo di ispirazione cattolico democratica. Poco importa, in questo senso, se tradotta in un Partito a matrice identitaria o collocata in un eventuale contenitore plurale”.

Comunque sia non ha torto chi (riferendosi alla già citata intervista di Ruini) afferma che “Sembra riprendere fiato, dopo gli anni conciliari e le prospettive che ne derivavano, una fiducia quasi esclusiva della capacità “negoziale” della gerarchia ecclesiastica con il Potere; una specie di ritorno al Patto Gentiloni, al supporto cattolico al moderatismo e al trasformismo che, degenerando, produsse anni dopo il clerico-fascismo”. Derive mai superate.

Mentre, riguardo al Manifesto per la rinascita di un partito laico di ispirazione cristiana, vanno tenute presenti pure argomentazioni come quelle espresse da Paolo Tomassone su <c3dem>: È importante questa scossa che sta percorrendo il mondo cattolico più impegnato per impedire che un intero mondo subisca una deriva verso il salvinismo. Se c’è una scossa del genere va bene”. E la determinazione di Alessandro Risso, Presidente dei Popolari piemontesi “Tra il rischio del velleitarismo e la certezza dell’ignavia e dell’inconcludenza, non ho dubbi su quale debba essere la scelta di chi si richiama ai “liberi e forti”.”

Ciò che va chiarito bene e convincentemente è che i cattolici democratici sono sempre stati e restano <Antagonisti della destra, alternativi alla sinistra>. Quindi la questione vera è avere un confine invalicabile a destra: al di là delle dichiarazioni di alcuni protagonisti, resta l’equivoco. E’ vero che ognuno si deve presentare con la propria proposta, a prescindere, e su quella obbligare gli altri a schierarsi, ma è pur vero che c’è stata per 25 anni, fra chi si richiama ai liberi e forti, una divisione in schieramenti contrapposti. Un motivo ci sarà, oltre al sistema elettorale. Sinceramente conservatori o sinceramente democratici: tutti ci si considera ormai democratici, ma progressisti o moderati? E non è soltanto il programma che risolve la questione, perché le situazioni portano prima o poi a scelte.

Altri dubbi possono sorgere per gli spazi e le condizioni in cui si muove l’iniziativa. L’ex parlamentare Giorgio Merlo scriveva il 5 novembre ricordando tentativi precedenti: “Tentativi condotti in buona fede – anche se l’ambizione dei promotori, del tutto giustificata e anche umanamente comprensibile, era sempre e solo quella di puntare a ottenere qualche scranno parlamentare – e con convinzione ma accomunati dal medesimo epilogo: e cioè, il fallimento elettorale. Dal tentativo di Democrazia Europea del 2001, appunto, guidato da Andreotti e D’Antoni a quelli delle ultimi elezioni regionali ed europee la difficoltà a raggiungere la fatidica soglia dell′1% è stato il comune denominatore di tutte queste svariate e molteplici esperienze. E, puntualmente, anche nelle ultime settimane e per rispetto della cronaca, ne sono nati altri due: la “federazione di centro” che punta a raggruppare il mondo ex democristiano disperso in mille rivoli e quello che ruota attorno al Manifesto di Zamagni.

Difficoltà, inattualità per un verso e allo stesso tempo necessità di un tentativo, ma nell’ottica proprio del cattolicesimo democratico, scongiurato invece da Ruini. Forza di centro significa equilibrismo, neutralismo? “Da un lato, la sostanziale improponibilità e inopportunità di dar vita all’ennesimo “partito cattolico”, o di ispirazione cristiana che dir si voglia. Un partito che, dopo i ripetuti e insistenti fallimenti delle precedenti esperienze, rende tutti più prudenti nell’avventurarsi nell’ennesima piroetta organizzativa. Dall’altro lato, però, si rende sempre più necessaria la presenza di questa cultura, di questi valori e anche dello stesso progetto politico nella sfera pubblica italiana” (G. Merlo).

Sono in grado i cattolici democratici e popolari, oggi, e ci sono le condizioni per far lievitare questo dibattito e, soprattutto, possono ancora incidere e condizionare con la propria cultura e i propri valori l’agenda politica nazionale e locale? Come ben sostiene Enzo Bianchi su Repubblica del 5 novembre 2019 “In questi ultimi tempi si sono fatti eloquenti alcuni cattolici e alcune figure autorevoli, anche della gerarchia ecclesiastica italiana, che di volta in volta invocano la nascita di un movimento, di una nuova formazione di ispirazione cattolica [….] ravviso alcune ingenuità nella concreta possibilità di realizzazione […] perché i cattolici impegnati sono diventati afoni nella politica anche perché nel ventennio 1990-2010, sono stati delegittimati da soggetti ecclesiastici che hanno avocato a sé il discernimento della situazione sociale, culturale e politica, fino a intervenire in materie sulle quali la competenza spetterebbe di diritto ai fedeli laici. Ci sono ancora cattolici capaci di stare nella polis, dopo una tale stagione, che li ha visti impediti a essere cristiani adulti, maturi? Dove sono i cattolici democratici? E poi oggi nel nostro Paese la debolezza della fede e l’insignificanza di molte istituzioni ecclesiali non favorisce lo svilupparsi di una comunità cristiana quale grembo fecondo, in grado di esprimere “visione”, “profezia”, capacità di abitare il mondo attuale. […] Nella nostra storia del dopoguerra, dopo una stagione significativa, c’è stata la stagione dell’afonia, ma ora sembra assodata la stagione dell’assenza! […] Il problema è più radicale e riguarda il tessuto della comunità cristiana sempre più astenica e incapace ad abitare con fedeltà al vangelo, la polis plurale, diversificata, complessa sempre più scristianizzata, eppure la “nostra” polis”.

Riflessione che non si può non condividere. C’è da chiedersi allo stesso tempo se la dispersione eccessiva dei <cattolici democratici e popolari> in tanti rivoli sia l’ideale, e se un tentativo (che deve partire dalla iniziativa e dalla responsabilità del laicato) di riunificare quanto possibile vada sostenuto. Serve oggi all’Italia (e all’Europa) un movimento politico – una forza partitica? – di orientamento popolare democratico solidale e aconfessionale per un nuovo umanesimo, che sia autonomo all’interno del campo delle forze che vogliono trasformare e cambiare profondamente il Paese? Si ritiene che sia utile un’esperienza che sappia essere innovativa e progressista soprattutto nel sociale, per l’ambiente, per il welfare, per il rilancio delle autonomie e dei corpi intermedi e per una politica pro famiglia e di contrasto al crollo demografico, e che sappia proporre “cose nuove” a livello europeo per una Unione dei popoli e delle nazioni da sottrarre alle sole decisioni dei Governi?

Perché questo si realizzi è necessario che riparta un lavoro capillare fra le associazioni, fra i gruppi giovanili, utilizzare strumenti e modalità più familiari alle nuove generazioni, re-immettere nella società e nel dibattito pubblico termini e sentimenti di solidarietà, dialogo, reciprocità, condivisione che diano sostanza anche ad una azione e presenza pubblica che parta da situazioni, realtà, bisogni concreti. Questo ciò che emerge da non pochi contatti e conversazioni avuti riguardo all’argomento in questione, segnalato da tutti i miei interlocutori. Più che documenti, servono pensiero e azione … e nessuna sponsorizzazione prelatizia.

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