Diaspora, presenza o lobby?

Leonardo Becchetti su Avvenire di mercoledì 27 novembre 2019 ha esposto una sua idea sul ruolo politico attivo dei cittadini che è comparso con il titolo <Cattolici e impegno. Un «gruppo di acquisto politico» per cambiare passo e scenari>. So che i titoli non sono dell’autore, ma in qualche modo il tema di un nuovo protagonismo, anche di parte cattolica, non è assente; anche perché l’autore ha contribuito alla stesura del <Manifesto Zamagni>. Perciò in queste poche righe mi espongo a cadere in questo equivoco, pur sapendo che parla di “società civile organizzata” e non di cattolici soltanto.

Premetto che non mi permetto di controbattere le considerazioni di una personalità come Becchetti. Prendo invece spunto da qualche sua battuta per dire le mie perplessità riguardo ad una proposta che ha certamente molti meriti.

Cosa dice Becchetti? …..Viviamo una stagione [..] in cui c’è il rischio [..] che quasi ogni giorno nasca un nuovo partito. Come cittadini e società civile in rete e organizzata da anni [..] ci interroghiamo, invece, su quale sia la strategia migliore per avvicinarci al nostro grande traguardo ideale: quello di portare la politica verso il bene comune. I modi conosciuti in cui si può incidere sulla politica sono molteplici. Far circolare le proprie opinioni, lavorare come esperti e ‘consiglieri del re’, fare campagne di pressione su leggi e questioni specifiche, entrare come singoli in partiti già esistenti, fino ad aspirare di creare un proprio partito. C’è però un’altra possibilità sinora inesplorata che l’analogia con quanto accade nel sistema economico ci suggerisce. In politica si può scegliere di stare dalla parte dell’offerta (entrare in un partito politico o fondarlo per cercare di farsi eleggere e governare) o dal lato della domanda (restare cittadino che deve decidere per chi votare). Negli ultimi anni l’innovazione dell’organizzazione dal lato della domanda in economia ci propone esempi interessanti come quelli dei gruppi d’acquisto con i quali gruppi di consumatori organizzati si coalizzano per aumentare il loro potere contrattuale nei confronti dell’offerta. [..] Analogamente in politica la strategia oggi forse ottimale ai fini dell’obiettivo del bene comune è quella di costruire un ‘gruppo d’acquisto politico’. Ovvero un’associazione di cittadini elettori che comunica la propria visione e il proprio desiderio di Paese attraverso un manifesto e un programma [..]. E dichiara che i suoi aderenti si impegneranno a votare per la forza politica che maggiormente si avvicinerà a quel programma. [..] Il’ gruppo d’acquisto politico’ non ha pregiudiziali ed è disposto a votare chi maggiormente (e in modo credibile) si avvicina al proprio manifesto e al proprio programma”.

Mi sembra un atteggiamento (il non avere pregiudizi) per ripercorrere in modo non positivo il centrismo: essere indifferenti rispetto alle diverse posizioni e ragionare solo in termini di interesse, pur dell’interesse comune. So non essere questa l’intenzione, anzi le proposte saranno certamente innovative e progressiste perché non stataliste. Ma l’indifferenza, l’equilibrio, l’equidistanza rispetto alle forze presenti rischia sempre di essere equivoca; non giudica le posizioni esistenti, non esprime opinioni su decisioni che hanno condizionato le scelte governative nel passato più o meno recente; mette tutti sullo stesso piano.

Quindi un possibile vizio “centrista” che potrebbe nascondersi, senza volerlo, dietro a questa proposta comunque interessante e innovativa. E veniamo alla seconda perplessità. Quella non nuova, neanche in politica, di creare una lobby che contratta il voto con il miglior offerente.

Mi viene alla mente il famoso Patto Gentiloni del 1913, con il quale si stabiliva un accordo fra i liberali di Giolitti e l’Unione Elettorale Cattolica Italiana in vista delle elezioni, accordo che impegnava i cattolici a votare per i candidati liberali (contrastando socialisti e radicali) ottenendo in cambio una serie di candidature nelle liste giolittiane e di poter passare al vaglio i candidati liberali (che avrebbero dovuto essere sostenuti dal voto cattolico) che promettessero di fare propri i valori affermati dalla dottrina cristiana e di negare il proprio sostegno a leggi anticlericali. Da non dimenticare che contro il Patto si schierò anche Sturzo; mentre nella proposta formulata oggi, anche coloro che si dicono sturziani sarebbero della partita.

Le lobby in politica esistono, e possono anche avere un ruolo positivo quando svolto alla luce del sole. Ciò che non mi quadra, è nascondere dietro l’uso di questa pratica la costituzione di una forza politica (di un movimento). Per onestà le cose vanno chiamate con il loro nome. E’ pur vero che la proposta prevede che questo soggetto proponga una visione di Paese e un programma, ma poi tutto da chi sarà gestito e come? Chi deciderà se accettare o meno di far confluire i voti su un determinato partito? Si darà consistenza a sistemi di consultazione sullo stile della “piattaforma Rousseau”? A pensarci bene anche il movimento delle sardine si troverà presto ad affrontare questi interrogativi. Almeno le “sardine” una qualche collocazione e preferenza rispetto alla geografia politica la esprimono.

Nel caso in questione mi sembra ci sia ancora quello che chiamavo prima l’equivoco dato dal non esprimere preferenze. Certo, è giusto votare per chi accetta di portare avanti le nostre proposte; ma non avendo una posizione asettica, di fatto una posizione centrale, non tanto per capacità di condizionare gli altri, ma di restare in attesa. E con il pericolo (lo dico dal mio punto di vista) di scegliere partiti di destra. Bodrato ci ha ricordato più volte che quando il centro sceglie la destra è la destra che vince e il centro di fatto è penalizzato.

Personalmente ritengo invece che quanti hanno a cuore il bene comune debbano aggregare o concorrere alla formazione di una politica di trasformazione e di profondo cambiamento in senso solidale, sociale, sussidiario, progressista: alternativo alla sinistra statalista, ma chiuso sempre e comunque alla destra. Staremo a vedere. Le mie sono perplessità, e può darsi che siano eccessive.

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