Guerra di Libia: l’impasse di Pd e centristi

Anche la vicina Libia ha subìto il contagio dell’ondata di rivolte che percorre il mondo arabo. Un contagio che si è presto trasformato in un conflitto che assomiglia molto ad una situazione di guerra civile. La risoluzione dell’Onu, cui ha fatto seguito un immediato quanto improvvisato uso della forza deciso avventurosamente dalla Francia, ha sancito una pericolosa internazionalizzazione della guerra di Libia, che non sappiamo quando e come si concluderà.

La risoluzione dell’Onu 1973, nella sua ambigua formulazione, non implicava necessariamente una così repentina iniziativa militare nella quale la Francia, con la Gran Bretagna, ha trascinato i suoi alleati, per esigenze elettorali dell’inquilino dell’Eliseo e per gli appetiti economici e commerciali transalpini, dolorosamente limitati in quest’area del Nord Africa da una capillare presenza italiana.

La prudenza sarebbe stata d’obbligo per altri due motivi. Il primo perché l’operazione militare dei “Paesi volenterosi” , come ha osservato anche Pierluigi Castagnetti, appariva già tardiva rispetto all’evoluzione della situazione sul campo. Un mese prima, forse avrebbe potuto contribuire a dissuadere il dittatore di Tripoli dalla repressione delle rivolte, ma oggi avviene in un Paese militarmente e geograficamente spaccato in due, e per di più ha dimostrato di non essere chiara negli obiettivi che persegue: la cacciata di Gheddafi o il mantenimento della “zona di non sorvolo”?

Il secondo motivo che consiglia prudenza è il fatto che la maggior parte della nazioni del mondo, dalla Germania alla Russia, dalla Cina all’India non ha appoggiato la risoluzione Onu quando non addirittura la critica apertamente. Ma in questo XXI secolo si deve essere consapevoli del fatto che l’Occidente non può più non tenere in debita considerazione gli orientamenti di Paesi che rappresentano la maggioranza della popolazione mondiale ed esprimono una forza economica comparabile se non superiore a quella occidentale.

 

Queste sono alcune tra le principali ragioni che paiono contribuire a deformare il dibattito politico interno sulla guerra libica, che rischiano di mettere ancora una volta in un angolo le forze di centro e di sinistra per la loro ormai cronica incapacità a svolgere un ruolo autenticamente riformista. Abbiamo sin qui assistito ad una adesione poco convinta del centro-destra alla “coalizione dei volenterosi”, accompagnata dall’emergere di dubbi, perplessità e persino esplicite contrarietà alle operazioni militari sin qui effettuate. E sicuramente vi è il terrore di un prolungamento indefinito dei bombardamenti alleati, per le ondate di profughi, per l’aumento delle vittime fra i civili, per il rischio che altre Potenze potrebbero entrare in questa guerra a sostegno dell’altra parte in causa. Ciò in una situazione di profonda depressione economica e sociale come quella in cui ci troviamo, potrebbe addirittura innescare una escalation del conflitto dagli esiti incontrollabili.

Di tutte queste cose che preoccupano i normali cittadini, si discute molto di meno nei settori dell’opposizione, del Partito democratico e dei gruppi centristi come l’Api o l’Udc, che sembrano dare maggiore importanza agli aspetti legali e formali. Poiché la risoluzione Onu autorizza l’uso della forza aerea si finisce, involontariamente, per accreditare l’impressione di uno zelo e di un fervore interventista a scapito dell’attenzione a tutte le altre, numerosissime, vie da percorrere prima, accanto e dopo l’uso della forza come estrema ratio.

Per contro dall’area governativa pare prevalere un approccio pragmatico e mutevole alla guerra libica, pieno certo di contraddizioni, di compromissioni con il dittatore di Tripoli, che peraltro accomunano politici italiani ed europei, ma che questo governo e il presidente del consiglio hanno reso, fino allo scorso anno, più plateali ed imbarazzanti.

Attenzione, dunque a non lasciare alle forze politiche della sola area di governo nel contempo la parte di chi agisce per evitare il massacro dei civili e nello stesso tempo critica una gestione delle operazioni militari simile a quella tristemente conosciuta sugli altri fronti di guerra ancora oggi aperti, come l’Iraq e l’Afghanistan. Forse qualche dubbio, qualche interrogativo in più ed una diversa sensibilità su questa nuova guerra, tra i vertici di Pd e centristi potrebbe aiutare a toglierli da una impasse in cui anche su questo tema sembrano bloccati, rischiando di non stare in sintonia né con gran parte della loro base, né con le culture politiche e con i mondi sociali a cui fanno riferimento.

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