Legge elettorale – Il proporzionale stravolto

Il fatto che dall’inizio degli anni Novanta il dibattito sulla legge elettorale sia puntualmente riemerso dopo ogni elezione e dopo ogni cambio di maggioranza parlamentare non sembra essere un buon segnale per la democrazia e nemmeno è indice di maturità delle classi dirigenti. Le regole elettorali che trasformano/deformano i voti in seggi dovrebbero essere il più neutre possibili, dovrebbe esser dato loro il tempo di consolidarsi negli effetti sul sistema politico. Invece è da circa trent’anni che si assiste a un dibattito miope sulle leggi elettorali, piegato alle convenienze delle maggioranze del momento. Non sfugge a questa poco confortante logica neanche l’attuale dibattito sul cambiamento della legge elettorale. Un dibattito, va notato, incomprensibile alla maggior parte dei cittadini in considerazione sia del fatto che l’attuale legge elettorale, il “rosatellum”, ha dimostrato alla prova dei fatti, in occasione delle ultime politiche del 2018, di non esser poi così malaccio, ma anzi di favorire e ampliare la competizione fra liste e candidati, che del fatto che le priorità del Paese sono su tutt’altri fronti, primo fra tutti quelli di una prolungata stagnazione economica e di uno strutturale declino sociale e demografico.

Se, dunque, l’attuale insistenza sulla modifica della legge elettorale non corrisponde alle urgenze del Paese, da cosa può esser dettata? Ci si ricorderà che almeno per un buon ventennio, dall’inizio degli anni ’90 al 2013 gran parte dell’opinione pubblica che conta, ha magnificato i pregi del maggioritario, come se fosse lo strumento del sistema elettorale anziché la politica a determinare il bipolarismo o quantomeno la governabilità. Forse allora qualcuno si illudeva di poter creare artificialmente un bipolarismo addomesticato, nel quale entrambi i poli non mettessero in discussione il primato della finanza sulla politica. Ma un tale progetto non ha retto alla prova dei fatti, la stagione del maggioritario ha fallito nel voler imbrigliare l’elettorato in politiche finalizzate, in ultima analisi, al trasferimento di ricchezza dal ceto medio e lavoratore verso una ristrettissima quanto scandalosa area di beneficiari di tale concentrazione di ricchezza. E così l’elettorato popolare negli anni scorsi ha trovato, se non la soluzione, almeno uno sfogo contro il sistema dell’alternanza fra uguali instaurato dal maggioritario, facendo crescere il Movimento Cinque Stelle ma anche puntando sulle speranze di discontinuità suscitate a suo tempo da Matteo Renzi e infine, facendo lievitare clamorosamente i consensi al partito-persona costituito dalla nuova Lega nazionale di Matteo Salvini. Ora, a questa profonda instabilità politica si vorrebbe metter fine in due modi, a mio modo di vedere, entrambi inadeguati. Da un lato il centro destra ripropone il maggioritario, pensando più a massimizzare i numeri di una prossima probabile vittoria che a definire le proposte adeguate per scongiurare il peggio a un Paese che, purtroppo ma non per un destino cinico e baro, sta marciando dritto verso il precipizio a causa di un decennio di politiche deflattive che tardano ancora ad essere riconosciute come tragicamente errate. Dall’altro il centro sinistra allargato ai pentastellati, mostra di riscoprire le virtù del sistema proporzionale in un modo che non appare del tutto convincente, sebbene vi siano buone ragioni per considerare tale sistema come il più adatto per il nostro Paese. L’improvvisa conversione proporzionalista dell’ala liberal della sinistra, quella contigua ai poteri economici e finanziari internazionali, sembra piuttosto tradire un estremo tentativo di mantenere lo status quo, cercando di cambiare le regole elettorali affinché nulla cambi. Si tratta, ahimè, di un errore madornale.

Anche se nell’attuale parlamento vi sono i numeri per il ritorno al proporzionale, se questo ritorno non sarà accompagnato da una decisa inversione di rotta, a 180 gradi, delle politiche economiche e sociali, difficilmente si riuscirà a fermare il declino. Senza una nuova politica, la recente bocciatura da parte della Corte Costituzionale del referendum di Salvini inevitabilmente si rivelerà una vittoria di Pirro per tutte le forze che lo vogliono contrastare, a cominciare dal centro sinistra. Puntare al proporzionale per proseguire con politiche che danneggiano pesantemente il ceto medio, è un controsenso storico e istituzionale. Il proporzionale è nato per far contare i ceti popolari, per consentire alla classe media di esercitare, attraverso i partiti, un ruolo politico centrale. Pensare di poterlo utilizzare per affermare gli interessi dei pochi, dei pochissimi, contro i più, creando una palude politica di immobilismo e di indecisione in un momento in cui servono con assoluta urgenza scelte decise e di respiro storico paragonabili a quelle del 18 aprile del 1948, potrebbe riservare, e contribuire a generare, amare sorprese in un futuro ormai meno lontano di quanto si possa ritenere.

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