Juden Hier
Il 27 gennaio è il Giorno della Memoria, quello in cui commemoriamo le Vittime dell’Olocausto. Lo celebriamo da anni, e ogni volta ci diciamo che è per non dimenticare ciò che avvenne e, soprattutto, perché tali atrocità non si ripetano.
Invece ce lo siamo dimenticato, ciò che avvenne. O perlomeno, se lo sono dimenticato in molti, troppi. Perché abbiamo dato spazio alla memoria, ma non al presente. Perché mentre ricordavamo e celebravamo, quelle atrocità si sono ripetute molte volte, troppe. Mentre guardavamo dall’altra parte, mentre lasciavamo spazio e voce a vecchi e nuovi carnefici, che hanno ripreso vigore e mistificano quotidianamente passato e presente, nel tentativo di cancellare la Storia e inquinare il futuro.
Il risultato è che gli orrori delle persecuzioni razziali e dei lager non si sono mai interrotti e sono presenti ancora oggi, anche se non nella dimensione ciclopica e minuziosamente organizzata messa in atto dai nazisti.
E nel Giorno della Memoria vale la pena fare un elenco – purtroppo non esaustivo – di questi massacri, cominciando da quello perpetrato dall’Impero ottomano ai danni degli Armeni, prima ancora che venisse coniata la parola “genocidio”, un neologismo elaborato proprio per definire l’Olocausto degli ebrei e istituzionalizzato dalle Nazioni Unite nel 1946.
Da allora, vengono riconosciuti tre genocidi: quello cambogiano, perpetrato da Pol Pot ai danni del suo stesso popolo fra il 1975 e il 1979, con un numero di vittime ignoto, stimato fra 1,5 e 3 milioni di persone; quello del Ruanda, dove fra il 7 aprile e il 15 luglio 1994, in poco più di tre mesi, l’etnia Hutu cercò di sterminare i rivali Tutsi, con un numero di vittime incerto, fra 500.000 e oltre un milione; quello della Bosnia-Erzegovina, fra il 1992 e il 1995, nell’ambito delle guerre nella ex-Jugoslavia, oltre 100.000 vittime che segnarono il ritorno dell’orrore nella Vecchia Europa a mezzo secolo dall’Olocausto, con in più la vergogna indelebile del massacro di Srebrenica, 8.000 vittime che in teoria avrebbero dovuto essere sotto la protezione delle Nazioni Unite.
Senza dimenticare gli italiani uccisi nelle foibe, i massacri di Stalin, quelli delle dittature sudamericane e le quotidiane stragi in Africa, dalla Repubblica Democratica del Congo al Darfur, dall’Algeria al Sud Sudan.
Drammi che sono avvenuti alla luce del sole, mentre il resto del mondo preferiva non vedere, esattamente come succede oggi. Da anni in Yemen imperversa un conflitto feroce, completamente ignorato dal sistema mediatico occidentale, senza che nessuno muova un dito per fermare le ostilità. Anzi, tutti vendono armi ai belligeranti, compresa l’Italia, che continua a fornire armamenti all’Arabia, paese aggressore, in barba alle nostre leggi e alla stessa Costituzione. Discorso simile per tutti i conflitti africani, dettati da una strenua lotta per le risorse, anche se mascherati da guerre tribali, etniche o religiose.
E per tornare all’urgenza del presente, guardiamo cosa succede in Libia, devastata dall’ennesima guerra voluta da potenze occidentali, nominalmente per abbattere un dittatore, di fatto per spostare equilibri strategici e controllo delle risorse. Il risultato è che abbiamo un Paese fuori controllo proprio di fronte all’Italia, con un’Europa che non riesce a intervenire compatta perché ha interessi diversificati e in conflitto fra loro, e dove le uniche certezze sono la penetrazione della Russia e della Turchia sul territorio, in appoggio ai fronti contrapposti.
Proprio in Libia rivive l’incubo dei lager, con i migranti tenuti prigionieri, costretti a lavorare come schiavi e spesso torturati per estorcere denaro ai parenti, o uccisi senza pietà. Questo mentre l’Europa e in particolare l’Italia finanziano gli aguzzini perché fermino i profughi e li tengano lontani dalle nostre coste, in ossequio a pulsioni xenofobe alimentate e cavalcate dalle destre, ma che ormai influenzano buona parte delle forze politiche.
È stato il governo del PD, nominalmente di centro sinistra, il primo a stringere accordi con il regime libico per frenare l’immigrazione. Dunque, non ci si può indignare se lo fa anche un centrodestra sempre più forte e arrogante, cresciuto proprio sull’onda del razzismo, della xenofobia, dell’individuazione di un nemico a cui addossare tutte le colpe. Esattamente come fecero i nazisti con gli ebrei, per legittimare il massacro che stavano pianificando.
Perché le campagne d’odio servono a questo, a indirizzare la rabbia verso qualcuno da perseguitare, ebreo, straniero o chicchessia. E nel nostro Paese questa strategia va avanti da tanto, troppo tempo, senza che nessuno si sia degnato di contrastarla adeguatamente.
In una Italia così, non dobbiamo stupirci se pochi giorni fa, a Mondovì, in Piemonte, sulla porta di casa della famiglia di una staffetta partigiana e prigioniera politica a Ravensbruck è comparsa la scritta ‘Juden hier’ (qui abita un ebreo), la stessa del periodo nazista, quando gli ebrei venivano denunciati dagli stessi vicini di casa per farli arrestare e deportare nei lager. La lunga strategia dell’odio ci ha riportato a settanta anni fa, al razzismo, all’antisemitismo, alla persecuzione.
Questo è il punto di non ritorno. Quello che dovrebbe farci capire che la Memoria, le commemorazioni, non bastano più. È tempo di agire con decisione contro questi rigurgiti di fascismo, altrimenti non avremo più bisogno di ricordarli, perché li rivivremo.
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