CANDIDI COME SERPENTI I commentatori che narrano se stessi preparano le leadership mediatiche

Campania (sarcasticamente) felix tra i rifiuti e triste Italia al compimento del centocinquantesimo anno di Stato Nazione. Non è mia intenzione ovviamente dare un determinante contributo alla generale depressione con una ingente flebo di pleonastico pessimismo. Ma un Paese che non ride è vittima della implosione della sua classe dirigente. Proprio perché la classe dirigente, e i suoi resti, ha rinunciato ad essere tale, tutto industriando per perpetuarsi in quanto ceto politico. Va da sé che la classe dirigente non può essere ridotta al solo personale politico. Magistrati, clero, professionisti di ogni scienza e disciplina (ed altri molti) dovrebbero farne parte ed essere riconosciuti in quanto tali. Prendiamone soltanto uno spicchio: quello dell’informazione, e poi riduciamo ulteriormente il campo visivo allo spicchio del giornalismo sportivo. C’è settore apparentemente più innocuo per il destino (Geschick, direbbe Heidegger) del Paese? Ebbene sedete una sera del dì di festa davanti al televisore per essere informati, dopo meritate ore all’aria aperta, su come vanno le cose nel campionato italiano di calcio. E vedrete i fatti della pelota ridotti a fattoidi (Gillo Dorfles) ad uso delle dispute degli scienziati – anzi, meglio – filosofi di Eupalla (Gianni Brera). Non c’è scampo. Ad andare in onda non sono le mitiche gesta dei campioni dello stadio (ivi incluso per dovere letterario anche il malcapitato difensore incappato nella domenicale autorete nel ruolo di Tersite) ma l’eristica – l’arte sofistica del contendere – di ex giocatori, allenatori senza panchina, Aspasie in vesti appropriate (ossia risparmiose del tessuto) in funzione di anchorwoman. Invano aspettate il gesto dell’atleta del cuore in forma di highlights: no; ognuno dei signori in trono ha il compito di incensare il narcisismo della propria competenza oscurando la realtà pedestre (in senso rigorosamente letterale) del match in questione e del campionato in svolgimento. Da Ibrahimovic a Zanetti a Del Piero al non obliato Francesco Totti, tutti sono materiali da ruminazione – con i gol e gli eventuali assist – per il narcisismo degli esperti. Anche nel calcio (come nel ciclismo o nell’automobilismo) i commentatori narrano se stessi. È come se il critico letterario vi consigliasse di non leggere il romanzo che recensisce perché basta e avanza il suo saggio critico. È il copione non scritto della nuova commedia italiana, dove senso e scopo consistono nell’implementare l’ossessivo narcisismo dei commentatori medesimi. L’acme da raggiungere a tappe forzate, il top dei top delle trasmissioni, sarà, a breve, la “critica” di una partita mai giocata. Il mezzo sarà finalmente tutto il messaggio e la televisione “cattiva maestra” (Popper) sarà la maestra unica: quella rimpianta dalla ministra Gelmini. Se sfinisce una classe dirigente è anche perché s’è vanificato contestualmente il giornalismo – tutto il giornalismo in tutte le rubriche – e noi compriamo in edicola come con il canone o la pubblicità commerciale non un foglio o un canale con le notizie, ma il foglio e il canale in sé e per sé. Kenosi e alienazione si sono congiunte. Vorrà dire che per sentire il rumore del piede del player sul pallone dovrete organizzare una partita di calcetto con i colleghi dell’ufficio o incitare vostro figlio nel vivaio dei pulcini dell’oratorio San Luigi o Don Giovanni Bosco. Un indubbio guadagno per la salute. Dal momento che non soltanto il quotidiano è un partito che compri al chiosco, ma che perfino il tifo sportivo, con il suo dovizioso indotto di uniformi colorate, doping sottobanco e sopra banco, scommesse, gadget e quant’altro è pura creazione verbale e carosello di immagini che cessano di realmente esistere quando stacchi la corrente. Nessuna noia più noiosa. Nessun vuoto più spinto. Non a caso le leadership originano da questo magma primordiale. Non a caso la più pertinente definizione del Premier che attualmente sverna a Palazzo Chigi era quella che circolava ai suoi esordi (la “discesa in campo” irrisa da Benigni) al di là del Tevere: “Berlusconi? Dice la verità quando è a corto di bugie”… Come a confermare che la politica nasce comunque e sempre da quel che politico non è. Adesso le bugie hanno sostituito in toto e dovunque la verità. E chi mai potrà allora avanzare la pretesa e avere le carte in regola per dirigere un mondo di tutte falsità? Non nutrendo dubbi sulle candidature possibili torno a leggere come un ribelle di Fahrenheit 451 e come un vocabolario santamente (e quindi laicamente) dissacrante Diario minimo di Umberto Eco. Uno che per un esperto come Borghezio – universalmente riverito per l’acribia con la quale illustra la cultura celtica – deve risultare contemporaneo al Codice di Hammurabi, non nascosta la parentela con l’uomo di Neanderthal.

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