Istria, orizzonte europeo

L’Istria, magnifica penisola adriatica forzatamente sottratta all’Italia con il Trattato di pace del 1947, merita davvero molto di più della difesa pelosa dell’estrema destra. Anzi, c’è qualcosa di paradossale nel vedere Forza nuova ergersi – ogni 10 febbraio, giornata del Ricordo – a paladina delle genti istriane, fiumane e dalmate, perché è grazie al fascismo e al suo esasperato nazionalismo che abbiamo dovuto rinunciare a Pola e alle città costiere dell’Istria, abitate nei secoli in larghissima maggioranza da italiani.

Una realtà innegabile. Non a caso gli jugoslavi, per impadronirsi di quella terra, diedero vita, tra il 1943 e il 1947, ad una pulizia etnica per eliminare ogni traccia di italianità dalla regione. Le foibe furono l’effetto più feroce e cruento di questa follia nazionalista di marca slava. Fa quindi sorridere, ma è un riso amaro, vedere come dalla parte opposta dello scacchiere politico, l’estrema sinistra continui imperterrita a minimizzare una tragedia che ha ben pochi eguali in Europa, esaltando soltanto le ragioni degli jugoslavi, in nome di un malintesa affinità social-comunista.

Nessun dubbio riguardo ai soprusi e alla violenza di cui fu oggetto sotto il fascismo la minoranza salva, ma è altrettanto doveroso sottolineare la sproporzionata reazione dei titini per cancellare qualsiasi presenza italiana. Ad un’ingiustizia, quella compiuta sotto il ventennio mussoliniano, se ne aggiunse un’altra ancor più grande e crudele: costringere gli istriani a scegliere tra il mantenimento della propria identità italiana, abbandonando la propria terra o restarvi a scapito della propria identità nazionale.

E quale lezione di dignità ci giunge dal popolo istriano, fiumano e dalmata. Gente che ha sofferto spesso in silenzio ed ha vissuto poi da esule, disperdendosi in mille località della nostra penisola, piuttosto che rinnegare il proprio amore per l’Italia. Per un Paese che per troppi decenni ha fatto finta di non accorgersi di questa tragedia, arrivando a bollando come fascisti i profughi che scappavano dal comunismo titoista.

Dicendo tutto questo non si vuole rinfocolare alcun vecchio nazionalismo ma semplicemente, e doverosamente, ricordare quello che è stato, restituendo verità storica ai fatti. Solo costruendo, per quanto possibile, una memoria condivisa che rammenti torti e ragioni, che ci furono da parte italiana e da parte jugoslava, potrà davvero nascere qualcosa di nuovo attorno a quelle terre così martoriate dal destino.

Oggi tra Italia, Slovenia e Croazia, su quelle frontiere contese, può crearsi un clima di collaborazione sovranazionale, nella cornice dell’Unione europea, salvaguardando culture ed identità presenti. Esiste una minoranza slovena in Italia ed una minoranza italiana in Istria, oggi peraltro divisa (altra assurdità) tra Slovenia e Croazia. Si tratta lavorare insieme per fare di queste diversità, spesso difficili da far coesistere, una comune ricchezza tra gente che convive nella stessa regione geografica. In quell’Alto Adriatico, che va Gorizia al Quarnaro, tanto carico di cultura e di storia.

In questa prospettiva, Pola e Fiume, ancorché non più italiane, è come fossero unite per sempre all’Italia da un legame che trascende l’attuale appartenenza nazionale per trasformarsi in qualcosa di più profondo che è la comune vicenda della civiltà europea. Quella che oggi unisce i diversi popoli del continente.

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