Coronavirus: adesso tocca a noi

Di fronte a questa gravissima crisi sanitaria con le sue enormi ricadute economiche e sociali, dobbiamo sentirci orgogliosi della nostra Italia. Di questo nostro Paese che sta reagendo e nel quale sta emergendo, almeno nella sua larga parte, una riscossa dell’intera comunità nazionale, di fronte ad una situazione che, per molti versi, ricorda quella dell’ultima guerra. Certo, non ci sono – grazie al cielo – i bombardamenti aerei, la penuria alimentare, la paura dei rastrellamenti, però c’è un nemico invisibile col quale fare i conti e che ancora non sappiamo quando abbandonerà il campo, finalmente sconfitto.

Una situazione, lo si è già detto più volte, del tutto inedita che investe il mondo intero. E questo dovrebbe intanto farci davvero sentire, tutti quanti, figli di un destino comune, al di là delle differenze, che pur esistono, ma che sono poca cosa rispetto a tutto quello che ci unisce. La collaborazione internazionale resta dunque indispensabile e vediamo che si sta realizzando con la Cina, prima grande vittima del Coronavirus, pronta ad inviarci materiale e attrezzature.

Molti Paesi – e senza andare troppo distante si guardi la Spagna – scontano molte difficoltà nel gestire l’emergenza. Noi invece, pur tra mille ostacoli, stiamo mostrando una notevole capacità gestionale ed organizzativa nel fronteggiare la crisi. Basti pensare all’allestimento, in pochi giorni soltanto, di interi reparti di emergenza; alla pronta disponibilità di molte aziende per fornire nuovi apparati sanitari; alla riconversione quasi immediata di molte realtà per produrre su larga scala di dispositivi di protezione. Resta poi eccezionale la risposta dei medici, ben 7mila, per occupare 300 posti negli ospedali prossimi alla saturazione. Stessa cosa può dirsi infine sul piano economico con i 25 miliardi stanziati dal Governo. Certo, molti aspetti vanno chiariti ed affinati, a cominciare da un più adeguato sostegno al lavoro autonomo, ma la direzione è quella giusta. Ed è quello che conta.

Poi, in tutto questo, ci siamo noi. Tutti siamo chiamati a fare la nostra parte, perché il peso della crisi non finisca per gravare soltanto su medici ed infermieri, sui tanti volontari che si trovano, inevitabilmente, in prima linea. Così come bisogna pensare alle forze dell’ordine e agli addetti dei supermercati a contatto col pubblico. Si deve rimanere a casa per loro, altrimenti i contagi continueranno, il conto dei morti salirà e gli ospedali – nonostante l’abnegazione di chi vi lavora senza sosta da giorni – saranno sommersi. E sarebbe sommerso il Paese intero, perché a quel punto, crollerebbe anche il sistema produttivo rimasto a garantire i rifornimenti alimentari. Un collasso che, oltre ad una drammatica insostenibilità sanitaria, potrebbe portare ad avere, in poco tempo, gli scaffali vuoti nei supermercati. A questo devono pensare tutti coloro che continuano a vivere come se nulla fosse, uscendo alla chetichella per correre nei parchi o per fare, addirittura, la gita fuori porta. In gioco c’è la nostra sopravvivenza.

C’è quindi da sperare che, alla fine, nella consapevolezza della gravità del momento nel quale ci troviamo a vivere, si faccia definitivamente strada un senso di responsabilità collettivo. In questo si vede la maturità di un popolo e, soprattutto, la maturità di ciascuna persona perché è compiere il proprio dovere, più che accampare qualche diritto, a rendere dignitosa la nostra vita.

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