La pastorale della comunicazione ai tempi del virus
La prudenza da osservare per limitare la diffusione del virus che, tra l’altro, suggerisce di ridurre al minimo i contatti interpersonali e, conseguentemente le riunioni, ha impresso una fortissima accelerazione anche alle comunità religiose e al loro modo di ritrovarsi, inaugurando quella che potremo definire una sorta di “pastorale on line”.
Anche se da molti anni le moderne frontiere informatiche dell’informazione stimolavano già nuove iniziative di comunicazione, anche ecclesiale, in queste settimane la fantasia pastorale sul web si è necessariamente sbizzarrita, mettendo alla prova la capacità espressiva dei pastori “con le pecore a distanza”. Si è così sviluppato un circolo virtuoso di attività fino a ieri impensate, che si sono affiancate alle ormai tradizionali messe televisive, rosari via etere, conferenze religiose radiofoniche, … e all’ormai tradizionale “breviario sul web” che, con la sua semplicità di utilizzazione, ha avvicinato molti alla “Liturgia delle ore”. Si è perciò aperto un mondo in cui l’inglese è insostituibile per definire i mezzi che si utilizzano: se fino a “ieri” era facile trovare parrocchie col loro sito internet, “mailing list” di aggregazioni cristiane, gruppi “whatsapp” legati ad impegni religiosi,… chi avrebbe pensato a celebrazioni “in streaming”, catechismo “via skype”, riunioni ecclesiali a mezzo “zoom”, omelie su “facebook”, “twitter” meditativi e così via? Le necessità di non rimanere isolati nel chiuso delle nostre abitazioni (per coloro che le hanno…), di vincere la solitudine, di creare occasioni per riflettere sul senso di questa complessa vicenda sociale,… si sono ben sposate anche con queste nuove modalità del comunicare che, in qualche modo, tentano di sopperire alla mancanza dell’incontro personale diretto, soprattutto a quello dell’insostituibile celebrazione eucaristica (forse così saremo più solidali con le popolazioni di quelle parti del mondo – anche leggasi Amazzonia- dove la Messa si celebra solo qualche volta all’anno).
In questa reazione positiva, molto stimolante e coinvolgente, si sono aperte, però, alcune questioni che meritano di essere sottolineate. Ad esempio: “Le nuove modalità di ‘apostolato informatico’ rappresentano un punto di non ritorno?”. Cioè, nel più prossimo domani possibile, quando il morbo sarà vinto, si avrà (ancora) la gioia di potersi ritrovare per “celebrare insieme”, per fare “realmente” comunità, per risperimentare il piacere della condivisione diretta, per essere “fisicamente” il “Popolo di Dio”? Oppure si continuerà a limitarsi a queste pratiche a distanza, via via diminuendone l’uso per evidente minor necessità, quando sarà passata la tempesta? Un’altra questione: molte di queste nuove forme di comunicazione sono fortemente “frontali”: il celebrante, il conferenziere, il relatore, … non interagisce (o interagisce di meno) con il suo “pubblico” (il popolo di cui sopra), rispetto alle normali riunioni “di persona”. Non si rischia, in questo modo, di favorire il possibile protagonismo e l’autoreferenzialità del responsabile di un gruppo o di una comunità e, in particolare, del prete? Come si “costruisce insieme”, al tempo del virus, un pensiero comune, un sentire condiviso che sia effettivamente un’espressione comunitaria e non di una singola persona? Poi, gli operatori pastorali in senso ampio hanno un’adeguata preparazione in questo campo, obiettivi chiari, orizzonti di programmazione,… o vivono alla giornata, inventandosi, imitando, adeguandosi, riproponendo,… iniziative che paiono interessanti, ma delle quali non si ha l’esatta percezione dell’utilità e dell’efficacia? Qual è lo scopo finale di questo agire, oltre l’apprezzabilissimo ed encomiabile zelo di chi si fa carico della “solitudine di un gregge”?
Certamente l’emergenza implica l’azione, non si può restare fermi come comunità ecclesiali, e, sicuramente, è meglio eccedere in attività, piuttosto che aspettare passivamente e in silenzio che la tempesta passi, ma -forse – alcune riflessioni su questi nuovi aspetti pastorali sarebbe opportuno farle, il più possibile insieme.
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