Coronavirus: anche l’economia va in terapia intensiva

L’esplosione del corona virus ha già fatto decine di migliaia di vittime e la pandemia non accenna a frenare la sua corsa. Lo sforzo delle autorità politiche e sanitarie si concentra sul contenimento della diffusione per dare respiro (è il caso di dirlo) alle strutture sanitarie di assistenza e cura, in particolare i reparti dedicati alla terapia intensiva e sub-intensiva, su cui si è tagliato troppo negli anni precedenti (sia come dotazioni tecnologiche che come personale).

Ma a finire in terapia intensiva è anche l’economia reale, oltre a quella finanziaria (in un mese le borse mondiali hanno perso dal 30 al 40% e tutte le classi di investimento, compreso oro e titoli di stato, ne hanno risentito, con una immane distruzione di valore).

L’impatto della crisi si è scaricata immediatamente sui settori direttamente investiti dalle scelte di chiusura delle attività: turismo, cultura, spettacolo, ristorazione, trasporti, servizi considerati non essenziali e tutto il relativo indotto.

Dopo le titubanze e le incertezze iniziali, si è passati anche alla chiusura delle attività produttive del settore industriale non considerate essenziali nella gestione di questa crisi, nonché ad una limitazione più restrittiva delle attività commerciali (tenendo aperta la filiera agroalimentare per garantire l’approvigionamento primario e pochi altri settori merceologici funzionali al momento).

Naturalmente restano aperti trasporti e servizi sanitari connessi all’attività emergenziale in corso, mentre infuriano le polemiche sulla delimitazione dei perimetri delle attività consentite.

Gli interventi presi in via anticipata dal governo italiano vengono copiati, con varianti più o meno rilevanti, da tutti i paesi con strutture socio-economiche simili alle nostre, sia in Europa che in Usa, ed ora persino in India ed altri paesi dove l’arretratezza dei sistemi sanitari avrà conseguenze inimmaginabili. L’iniziale smarcamento di Boris Johnson, che sembrava puntare sull’”immunità di gregge”, è velocemente rientrato, anche se permangono atteggiamenti di superficiale indifferenza (Trump che vuole riaprire entro Pasqua e Bolsonaro che parla tuttora di banale influenza).

Al di là dell’approccio strategico adottato (Cina, Sud-Corea, Italia), condizionato ovviamente dalla limitazione delle risorse disponibili e dal modello politico di riferimento, sembra evidente che, nell’assenza di un vaccino (che richiederà 12-18 mesi) e di terapie efficaci comprovate, lo sforzo pubblico si riduce al tentativo di diluire l’incidenza dei casi in un periodo orizzontale il più lungo possibile, in modo che l’assistenza sanitaria possa essere adeguata, con le strutture esistenti e con quelle in fase di potenziamento.

Nel breve periodo, a prescindere dagli enormi errori tecnici e comunicativi commessi, solo la strategia di chiusura e divieto di spostamento sembra funzionare, perlomeno come contenimento del fenomeno a dimensioni gestibili. Non voglio entrare in ragionamenti che porterebbero lontano e che sono ampiamente dibattuti (raramente in modo competente e documentato).

Quello che qui vogliamo prendere in considerazione è l’impatto economico, geopolitico e strategico della crisi epocale in corso. Sono bastati questi ultimi 30 giorni a cambiare il corso della storia? Evidentemente no, però la crisi segna un cambio di paradigma e forse prelude anche ad un passaggio di testimone, tra un ciclo egemonico e l’altro: fenomeni che si danno nella lunga durata, ma trovano negli shock dei punti di svolta, o di emersione. La butto lì come argomento e come sfida: il 23 gennaio a Wuhan la Cina ha preso il comando del mondo?

Il modello di crescita economica globalizzata era già in crisi prima: la reazione all’epidemia ha subito dimostrato che c’erano strategie diverse, interessi contrapposti, lotte intestine e priorità divergenti. I ritardi nel prendere coscienza del pericolo ed elaborare linee difensive adeguate ha evidenziato approcci culturali diversi: chi ha messo al primo posto la salvaguardia della salute ed il salvataggio di vite umane (sacrificando punti di p.i.l.) e chi ha privilegiato l’immagine e le necessità dell’economia per continuare tutto come prima (illusione presto svanita). In Europa, che si vorrebbe coesa e fondata su un modello di welfare “di civiltà” omogeneo, non si contano in maniera uguale neanche i morti…

Venendo al dunque, si tratta di quantificare l’impatto che la crisi potrebbe avere, se le strategie adottate dai governi e dalle banche centrali non avessero efficacia, nel contrastare la profonda recessione che si va profilando. Tutti concordano che si tratta di una crisi più grave di quella finanziaria del 2008 e che forse occorre risalire al 1929 per trovare termini di paragone.

Il Fondo Monetario non ha ancora fatto previsioni, mentre numerosi enti di ricerca o banche private hanno svolto i consueti studi previsionali su andamento economico e impatto sulla finanza pubblica.

Sugli USA ad esempio Goldman Sachs ha previsto inizialmente un forte calo dell’economia nel 2^ trimestre 2020 (-5%) e poi una crescita accelerata nel 3^ trimestre (+3%) e ancora più nel 4^ trimestre 2020 (+4%). In questo schema di recupero veloce, a V, anche le borse potrebbero fare un rimbalzone (anche del 60%) nel secondo semestre. Dopo qualche giorno, e la rapida ascesa degli Usa al vertice della classifica dei contagiati, le previsioni sono già state riviste radicalmente al ribasso, con previsioni di crollo della produzione dell’ordine del 25% nel 1^ semestre 2020….

L’impressione è che queste analisi iper-ottimistiche, o catastrofiste, siano frutto del trauma della prima ora, destinate ora a consolare i risparmiatori depressi/terrorizzati, ora ad invocare interventi pubblici draconiani per sostenere la “mano invisibile”, più che non a fornire previsioni affidabili.

Sta di fatto che dopo l’iniziale sottovalutazione, l’amministrazione Trump ha rapidamente cambiato rotta, insieme alla FED. La banca centrale ha azzerato i tassi d’interesse, abbassandoli in due tempi di 100 punti base, e varato un nuovo Quantitative Easing (acquisti di titoli sul mercato) per 700 miliardi di dollari. Intanto l’amministrazione Trump ha deliberato, con voto bipartisan, di stanziare almeno altri 2.000 miliardi di dollari, messi sul piatto con la logica dell’”helicopter money”, cioè dare un bonus fino a 3.000 dollari a famiglia per sostenere i consumi. La rielezione è nel mirino e Trump vuole arrivarci in condizioni competitive, ma anche i democratici sono sensibili alla tenuta del business.

In Europa si tratta di mediare tra posizioni ben più articolate, per non dire divergenti: la gaffe della Lagarde che ha inabissato i mercati riflette posizioni antitetiche, che per ora sono state ricomposte da un intervento correttivo imponente, ma che non tarderanno a riemergere nel tempo e nella strategia di contrasto a questa devastante recessione.

La parte ordo-liberista del board della BCE (Germania, Austria, Olanda) tollera a fatica l’interventismo sui tassi (per ora fermi) e la ripresa del Quantitative Easing (750 miliardi di euro), e non sembra dispiaciuta nel cogliere l’”opportunità” coronavirus per mandare a bagno in via definitiva i paesi fragili (Italia in testa). Il crollo della borsa di Milano dei primi giorni aveva reso quanto mai appetibili le quotazioni e quindi la scalabilità delle nostre maggiori aziende, che non a caso hanno fatto avanzare l’ipotesi di blindatura da parte dello stato come aziende strategiche. Ma ora l’allarme rosso riguarda tutta l’Europa e le più preoccupate sembrano proprio Germania e Francia. Altmeier, ministro tedesco dell’economia, l’ha chiarito anche in inglese: “Germany is not for sale”, ma occorre buttare a mare tutta un’impalcatura ideologica che ha impedito formalmente il sostegno pubblico all’economia con la religiosa criminalizzazione degli “aiuti di Stato”. E intanto dalle parti di Berlino si pensa che la crisi farà giustizia competitiva e che gli innovatori (cioè loro) potranno salvarsi, mentre gli altri….

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.