Le “libere licenze” della destra cattolica
Fa davvero impressione il crescendo delle dichiarazioni del prof. Roberto De Mattei, docente di Storia contemporanea prima presso l’Università di Cassino e poi presso l’Università europea dei Legionari di Cristo (come si vede, due autentici fari del pensiero moderno) e, per imperscrutabili motivi politici, assurto da alcuni anni alla vicepresidenza del Consiglio nazionale delle ricerche. Da quella alta cattedra, si presume, dovrebbero partire gli impulsi per l’approfondimento e la diffusione della cultura scientifica in un Paese come il nostro che ne è deplorevolmente privo. Solo che, come dire, il De Mattei non pare esattamente essere la persona più adatta a questo compito, viste le sue concezioni ideologiche di cattolico di matrice francamente lefebvriana , le stesse che lo spinsero a far celebrare sotto gli auspici del CNR un workshop in occasione del bicentenario della nascita di Charles Darwin in cui si metteva radicalmente in discussione la tesi dell’evoluzione biologica. Si badi bene: non la particolare interpretazione che Darwin ed i suoi discepoli diedero dell’evoluzione, ma il concetto stesso del fatto che l’essere umano sia il prodotto di un processo evolutivo durato migliaia di secoli, a favore di una riedizione sic et simpliciter della tesi illustrata nei primi capitoli della Genesi sulla creazione diretta della natura e dell’uomo nella loro forma attuale da parte di Dio.
Una tesi che ben pochi all’interno della Chiesa cattolica si sentono oggi di avallare (le critiche a Darwin mosse, ad esempio, dall’Arcivescovo di Vienna card. Schonborn non mettevano in discussione il fatto storico dell’evoluzione ma alcune sue interpretazioni), e da cui prese decisamente le distanze uno scienziato vero, il compianto Nicola Cabibbo , allora presidente della Pontifica Accademia delle scienze. Tuttavia De Mattei è andato avanti imperterrito per la sua strada, la stessa che lo ha portato, nel giro di pochi mesi, ad attribuire sostanzialmente all’ira divina per i peccati degli uomini il disastroso terremoto-tsunami giapponese, e poi ad attribuire, sulla scorta del pensiero di un oscuro autore cristiano del V secolo, la caduta dell’Impero romano al dilagare dell’omosessualità, con evidenti riferimenti alla situazione odierna.
Ma la cosa più incredibile, in una faccenda che in effetti è al limite del patologico o forse lo ha già superato, è che il De Mattei non solo non sembra curarsi, forte delle sue aderenze politiche nel mondo berlusconiano, delle pressanti richieste di remissione di un mandato, quello di vicepresidente del CNR, di cui non è evidentemente all’altezza. No, lui rilancia, ed anzi si permette di lanciare accuse di eterodossia a quei cattolici che dissentono da lui: così ad esempio chiese le dimissioni di Cabibbo dalla Pontificia Accademia delle scienze perché un vero cattolico non può credere nell’evoluzione; così, nel vivo della polemica sulle sue dichiarazioni rispetto alle vicende giapponesi, disse che se c’era qualcuno che doveva andarsene era semmai il cardinale Gianfranco Ravasi Presidente del Pontificio Consiglio per la cultura, reo di non si sa cosa (e qui De Mattei faceva finta di ignorare il fatto che a volere il prelato milanese a quell’alto incarico è stato Benedetto XVI, che di sua mano lo ha consacrato Vescovo e gli ha imposto il galero cardinalizio); ed infine, insieme ad altri “studiosi” della sua risma ha lanciato un appello al Papa perché non desse seguito all’annuncio di un nuovo incontro mondiale delle religioni da svolgersi ad Assisi nell’ottobre prossimo sul modello di quelli voluti da Giovanni Paolo II nel 1986 e nel 2002, oltretutto non privandosi del piacere di infliggere al grande teologo ed antico Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede una noiosa lezioncina sul pensiero in materia di ecumenismo di Pontefici morti qualche secolo fa, in circostanze storiche tanto diverse da quelle attuali.
C’è da domandarsi su quali sarebbero le reazioni se a scrivere cose simili, ovviamente su di un altro registro, ma usando gli stessi toni ultimativi e violenti fossero gli esponenti della cosiddetta “ala progressista” della Chiesa cattolica. Il fatto è che dall’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso fino ad oggi ben individuati settori della Gerarchia ecclesiastica cercarono in ogni modo di mettere in scacco un certo tipo di interpretazione dell’aggiornamento conciliare, sottolineando a tal punto gli elementi di continuità rispetto al precedente pensiero cattolico da favorire l’emersione di una neo apologetica priva di carità e di misura, di nuove forme di ritualismo, di una deriva identitaria, di una nuova centralità clericale ed alla fine della pratica banalizzazione dei contenuti liturgici e teologici della riforma conciliare con la licenza indiscriminata di celebrazione della Messa tridentina e con la revoca senza contropartite della scomunica ai quattro Vescovi ordinati illecitamente da mons. Lefebvre, compreso il negatore della Shoah Williamson.
A questo punto rimettere il genio malefico nella bottiglia diventa complicato, anche perché la stimmung creatasi in questi trent’anni di anestetizzazione se non di demolizione dello spirito conciliare, da un lato non può che confermare i nemici vecchi e nuovi del Concilio della bontà delle loro posizioni, rendendoli se possibile ancora più insopportabilmente arroganti e baldanzosi dalle tribune dei loro ben patinati periodici (a proposito, chi li paga?) e dei loro siti internet , dall’altro rendono sempre più difficile la mediazione “centrista” di chi afferma non esservi stata nel Concilio rottura ma solo riforma, anche se si fa ben poco per essere conseguenti fino in fondo a tale riforma.
Naturalmente non mancano le risposte, anche da fonti inaspettate. E’ toccato così a mons. Agostino Marchetto , già pedante oppugnatore storiografico della cosiddetta “scuola di Bologna” facente capo a Giuseppe Alberigo ed Alberto Melloni, scrivere per l’”Osservatore romano” una dura stroncatura dell’ultima fatica editoriale di De Mattei, una storia del Vaticano II ridotto a congiura massonica contro la vera fede con la complicità di Pontefici supini come Giovanni XXIII e Paolo VI e persino di ignavi come Pio XII (che non comprese le avvisaglie della tempesta in arrivo) ed il cardinale Siri (che non si oppose abbastanza ai neo modernisti). Giustamente Marchetto stronca tali asserzioni deplorandone l’ “unilateralismo”, il “linguaggio bellicista”, l’ “ideologismo” e la “tendenziosità”.
Quasi contemporaneamente, sempre sul giornale vaticano, mons. Inos Biffi, sacerdote e teologo milanese noto per la sua sorda opposizione agli episcopati dei cardinali Martini e Tettamanzi e per il suo essere la longa manus in terra ambrosiana del suo omonimo (ma non parente) card. Giacomo Biffi, ha scritto un articolo in cui contrasta recisamente le posizioni dell’anziano teologo Brunero Gherardini , il quale da diversi anni ha avviato una riflessione sul Concilio stesso e sui suoi documenti individuando in essi, e non nelle “deviazioni” successive la causa della crisi attuale della Chiesa. In particolare mons. Biffi accusa Gherardini di confondere, in materia liturgica, il mistero cristiano con l’ arcanum delle religioni misteriche, come se le verità di fede potessero essere comunicate solo in una lingua sacra ed incomprensibile e non in quella di tutti i giorni. Rigettando le accuse di Gherardini a Paolo VI e Giovanni Paolo II di aver seguito una linea eccessivamente antropocentrica, Biffi ricorda che “la liturgia non esiste perché Dio renda culto a se stesso, ma perché l’uomo lo possa lodare e glorificare attraverso i sacri riti celebrati attivamente e in piena consapevolezza” e che in questa prospettiva “le riforme conciliari (…) hanno avuto immensi benefici”.
Tutte parole condivisibili, ma che avrebbero una maggiore eco in una comunità di fedeli spesso disorientata (e per la verità non molto interessata a questi dibattiti iniziatici ) se troppo spesso nella condotta pastorale pratica della Gerarchia ecclesiastica non si fosse seguita una prassi ispirata alla paura del nuovo e all’autoaffermazione in chiave autoritaria ( ma non autorevole). Due strade privilegiate da cui passa la logica distorta del tradizionalismo ecclesiale, che si coniuga spesso e volentieri con un pensiero politico e sociale reazionario ed antidemocratico.
Solo che in certe ville della Brianza non si celebrano Messe tridentine, ma si praticano semmai altri riti in onore di Priapo e non di Cristo. Ma che importa di ciò a De Mattei? L’importante per lui è stare ben saldo sulla sua non meritata poltrona.
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