Anche le Ong contro il virus
A dare una mano per combattere il contagio da Covid-19 ci sono anche soggetti poco citati dagli organi di informazione. Sono le ONG, le Organizzazioni Non Governative, abituate a gestire le emergenze umanitarie in ogni parte del modo, che hanno deciso di affiancare con la loro esperienza le strutture sanitarie del nostro Paese. Le stesse organizzazioni che pochi mesi fa venivano additate come “complici degli scafisti” e accusate di favorire l’immigrazione illegale, oggi sono in prima linea nella lotta contro il virus, anche in quelle Regioni governate da rappresentanti delle stesse forze politiche che le attaccavano.
La verità è che le organizzazioni di soccorso umanitario hanno come unica linea guida quella di salvare vite umane, ovunque esse siano in pericolo, su un barcone in mezzo al mare come in una residenza per anziani della provincia italiana. E non fanno, per fortuna, distinzioni in base al colore della pelle o della bandiera di partito. Vediamo dunque quali progetti stanno attuando per integrare l’azione del nostro Sistema Sanitario pubblico, da settimane impegnato in un’emergenza che mette a dura prova gli operatori.
A Bergamo, forse la zona più duramente colpita dall’epidemia, la Ong italiana Emergency, insieme con gli Alpini dell’ANA e la Protezione civile, ha progettato e approntato un ospedale da campo dedicato esclusivamente alla cura dei pazienti affetti da Covid–19. Al suo interno sono stati destinati fra gli altri sanitari che avevano già collaborato con l’Ong in Sierra Leone, durante l’epidemia di Ebola, maturando un’esperienza specifica per questo tipo di situazioni. In totale circa una trentina fra medici, infermieri e altro personale sanitario, che si occuperà dei reparti di Terapia intensiva e sub-intensiva.
Attiva anche una collaborazione con l’ospedale di Brescia per implementare i protocolli di sicurezza a tutela del personale e delle strutture. A Milano, l’attenzione è puntata sulle strutture di accoglienza per i senza fissa dimora e i migranti, per monitorare le condizioni igienico-sanitarie in un contesto a elevatissimo rischio di contagio a causa delle precarie condizioni delle persone assistite. A questo si affiancano ulteriori attività, tra cui in particolare quella di triage negli otto ambulatori che l’organizzazione gestisce in tutta Italia, per l’individuazione di casi sospetti di infezione.
Anche Medici Senza Frontiere (MSF) è presente in prima linea per portare la propria esperienza maturata nella gestione delle epidemie, da quelle di morbillo alla temutissima Ebola. Gli specialisti di MSF stanno affiancando gli operatori sanitari del lodigiano, una delle prime aree di espansione del contagio, con la consapevolezza che il primo imperativo è proprio garantire la sicurezza del personale, perché se essi stessi si ammalano, non saranno poi in grado di assistere i pazienti. Una evidenza lapalissiana, ma che troppo spesso, per carenza di dispositivi di protezione, non è stata messa in atto, causando il contagio di un alto numero di operatori, fra i quali purtroppo si registrano non poche perdite.
Come in ogni contesto di emergenza, MSF studia le priorità e poi agisce d’intesa con le autorità sanitarie locali, ove queste diano l’assenso. Un’altra area di intervento, oltre al focolaio del lodigiano, è stata individuata nelle RSA delle Marche, quelle strutture per anziani che in questa come in altre Regioni stanno diventando veri e propri serbatoi di espansione del virus, a causa del contatto ravvicinato fra operatori e ospiti e della vulnerabilità di questi ultimi, il cui sistema immunitario purtroppo spesso non è in grado di fronteggiare l’infezione, con la conseguenza di una drammatica impennata dei casi di mortalità. Un contesto in cui è dunque vitale prevenire il contagio, per scongiurare esiti potenzialmente fatali.
L’azione di MSF è presente anche a livello internazionale, nei Paesi dove è già in corso l’epidemia, quali Spagna, Francia, Belgio, Grecia e Hong Kong, oltre ai contesti dove l’organizzazione è radicata da tempo, come l’Afghanistan e altri paesi a basso livello di sviluppo, dove il contagio troverebbe terreno fertile a causa delle precarie condizioni sanitarie, aumentando diffusione e virulenza della pandemia e rendendo ancor più problematico il suo contenimento.
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