22 aprile, Giornata mondiale della Terra

Il 22 aprile si celebra la giornata mondiale della Terra. In occasione della ricorrenza, che cade nel pieno di questo drammatico momento di emergenza sanitaria, è stato pubblicato un lungo e articolato manifesto per richiedere con forza l’adozione di un nuovo paradigma di sviluppo. Questo perché l’attuale modello basato su crescita e consumo ha ormai palesato una serie di problemi insostenibili, dall’esaurimento delle risorse al cambiamento climatico. Senza dimenticare che anche l’attuale pandemia deriva proprio dal fatto che abbiamo sconvolto gli equilibri naturali, in particolare disboscando aree forestali per sostituirle con allevamenti intensivi e colture destinate a produrre mangimi per quegli stessi allevamenti.

È dunque nel nostro stesso interesse tutelare gli ecosistemi, perché “la salute di ciascun individuo – come si legge nell’appello – è interconnessa e dipendente dal buon funzionamento dei cicli vitali del pianeta”. Negli ultimi due decenni sono esplose numerose epidemie (Ebola, influenza suina e aviaria, Sars) che, sottolineano gli estensori del documento “sono la conseguenza della alterazione dei delicati equilibri naturali esistenti tra le differenti specie viventi e i loro relativi habitat. L’abbattimento e gli incendi delle foreste tropicali, il consumo di suolo vergine, lo sfruttamento minerario, la caccia e il consumo di fauna selvatica, la concentrazione di allevamenti animali, l’agricoltura superintensiva, il sovraffollamento urbano e lo spostamento continuo di merci e persone sono le cause primarie dello scatenamento delle pandemie”. Un concetto già espresso nel non lontano 2012 dal divulgatore scientifico David Quammen: “Là dove si abbattono gli alberi e si uccide la fauna, i germi del posto si trovano a volare in giro come polvere che si alza dalle macerie”  nel suo saggio “Spillover” , ovvero “Salto di specie”, quel fenomeno che porta i virus a passare dagli animali selvatici all’uomo, spesso per il tramite del bestiame da allevamento.

In questo senso, il documento ci ricorda che non c’è nulla di imprevedibile o fortuito nell’attuale pandemia, solo la tragica quanto inevitabile conseguenza di un “sistema economico dominante che provoca un progressivo deterioramento dei sistemi ecologici, l’estinzione di massa delle specie viventi, il surriscaldamento del clima. Tutto ciò aumenta i rischi, la vulnerabilità e abbassa le difese immunitarie degli individui”.  Nonostante questo, la diffusione del contagio ha trovato impreparati la maggior parte dei sistemi sanitari, perché “la sottovalutazione dei fenomeni in atto, l’impreparazione e l’incompetenza delle istituzioni pubbliche ad ogni livello – laddove è prevalso il modello neoliberista – hanno indebolito i presidi socio-sanitari con definanziamenti e privatizzazioni”.

È il caso anche del nostro Paese: “in Italia – prosegue il documento – abbiamo dovuto constatare un tasso di letalità eccessivo, troppi contagi registrati tra gli operatori sanitari, insufficienza delle attrezzature, mancanza di scorte di strumenti di protezione, assenza di luoghi dedicati alla quarantena, inadeguatezza dei protocolli diagnostici e terapeutici e la mancanza di un piano di emergenza e prevenzione in caso di malattie epidemiche”. Per mascherare l’inadeguatezza del sistema, si è puntato su una narrazione retorica dell’emergenza, con gli operatori sanitari osannati come “eroi” impegnati “in prima linea” nella “guerra” contro il “nemico”.

In realtà, il personale che con abnegazione e sacrificio ha provato a salvare i pazienti affetti da Covid-19 è stato lasciato allo sbaraglio, privo degli adeguati strumenti di protezione. Non a caso fra gli operatori sanitari si contano decine di vittime, una tragedia che poteva essere in gran parte evitata, se fossero state fornite attrezzature e procedure adeguate. Sarebbe stata necessaria una strategia di prevenzione che invece  non c’è stata, ma che occorre prevedere per il futuro, magari andando a reperire i finanziamenti proprio sottraendoli alle enormi spese destinate alla guerra vera, a partire dai miliardi che il nostro Paese continua a spendere per dotarsi dei famigerati cacciabombardieri F35.

In ogni caso, a prescindere da ciò che è stato, oggi la pandemia è esplosa con grande virulenza, costringendo tutti i Paesi del mondo a mettere in atto l’unica strategia risultata veramente efficace finora: la quarantena, ovvero il blocco generalizzato di attività lavorative, spostamenti, contatti fra persone. Una misura durissima, che impatta pesantemente sul nostro vivere quotidiano, con pesanti ricadute economiche a livello globale.

Proprio l’impatto sull’economia sembra però preoccupare qualcuno ancora di più del pericolo per la salute e la stessa sopravvivenza delle persone. Tanto che si moltiplicano un po’ ovunque le pressioni per la “ripartenza” dell’economia. Questo tuttavia implica due riflessioni. La prima, che sentiamo ripetere da più parti, è che questa ripresa delle attività vada effettuata “in sicurezza”, anche se al di là delle dichiarazioni non è sempre chiaro come ciò dovrebbe avvenire in pratica. Ma soprattutto, occorre  tenere conto che l’errore più grande sarebbe ripartire con gli stessi schemi di prima.

Non c’è dubbio che questa pandemia segni una cesura netta fra un “prima” e un “dopo”.

Dunque, sarebbe sbagliato progettare il futuro per rimetterlo in linea col passato.

Il modello di sviluppo che ci ha portato a questo disastro va in parte rivisto profondamente, in parte abbandonato del tutto. In questa ottica, il manifesto pubblicato in occasione della Giornata della Terra fa una serie di proposte, che qui riportiamo sinteticamente, a partire dalla considerazione che le conseguenze “sull’economia globalizzata porteranno ad una crisi senza precedenti con effetti catastrofici specie nei paesi più periferici (rimasti senza commesse), nei ceti più poveri (rimasti senza reddito), tra i precari (rimasti senza lavoro), tra le donne madri (rimaste senza reti e servizi), tra le bambine e i bambini. Le pandemie non conoscono differenze di classe, ma si ripercuotono accentuando ancor di più le disuguaglianze e le ingiustizie sociali. Per uscirne non basterà inondare il mondo con una pioggia di denaro “a debito”. Bisognerà che quel denaro serva effettivamente ad avviare una profonda conversione ecologica e solidale degli apparati produttivi e dei comportamenti di consumo”.

Tra l’altro, il 2020 è l’anno dedicato dall’Onu alla biodiversità, ma secondo l’ultimo Rapporto dell’Agenzia Europea per l’Ambiente “circa il 75% dell’ambiente terrestre e oltre il 60% dell’ambiente marino sono gravemente alterati”. Per questo, sostengono gli autori dell’appello, occorre restituire alle dinamiche naturali “almeno il 50% del suolo e delle aree marine”.

Oltre a ciò, in linea con le indicazioni dell’Agenda 2020 delle Nazioni Unite e con gli SDGs (gli obiettivi di sviluppo sostenibile) indicati dalla stessa Onu per il 2030, gli estensori del manifesto chiedono di:

  • proteggere e promuovere la biodiversità e il rispetto di tutte le specie viventi;
  • ridurre da subito le emissioni che alterano il clima;
  • fermare immediatamente tutte le guerre in corso, riconvertire le produzioni belliche e liberare risorse per la cura della salute;
  • contingentare, tracciare e controllare l’estrazione di materiali vergini dal sottosuolo (combustibili fossili, metalli, altri minerali);
  • fermare gli allevamenti intensivi, l’agrobusiness e promuovere l’agricoltura contadina;
  • potenziare la ricerca, la prevenzione, la cura e la medicina di comunità;
    applicare sistematicamente il principio di precauzione alle trasformazioni tecnologiche che producono inquinamenti o che manipolano l’autonomia e la riservatezza personale su cui si fonda la democrazia;
  • riconoscere la soggettività delle donne, il diritto alla sicurezza anche in famiglia, all’indipendenza economica e all’autodeterminazione nelle scelte riproduttive (unica vera risposta alla crescita della popolazione);
  • riconoscere alle comunità locali il potere di decisione sui propri destini e rispettare i saperi e le forme di esistenza delle popolazioni indigene;
  • promuovere i beni comuni e le pratiche sociali di gestione comunitaria delle risorse sociali e ambientali di un territorio con modi e forme che garantiscano l’integrazione e la solidarietà tra comunità civili nazionali, continentali e planetarie;
  • riconoscere immediatamente i diritti civili e di accesso ai servizi sanitari e al welfare per tutti i cittadini stranieri che si trovano, per qualsiasi motivo, in Italia o in un paese dell’Unione europea;
  • anteporre la cura della vita alle leggi del mercato tutelando il lavoro di cura;
  • garantire le condizioni di lavoro e la sicurezza di tutti i lavoratori e le lavoratrici;
  • varare misure urgenti e strutturali per garantire ad ogni persona un reddito di base per una vita dignitosa;
  • modificare stili di vita, consumi e produzione nel rispetto della Terra e di tutti i suoi abitanti umani e non umani;
  • garantire i diritti di tutte le bambine e di tutti i bambini come rappresentanti delle generazioni future.

Per adesioni all’appello, inviare una mail a: adesioni.appello.2020@gmail.com

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