Brevi ma importanti, dall’Italia e dal mondo
IMMIGRATI – Non possiamo che rallegrarci per il contenuto della sentenza con cui la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE che ha sede a Lussemburgo) ha bocciato la norma italiana che prevede il reato di clandestinità e punisce con la reclusione gli immigrati irregolari. Secondo i giudici, la norma è in contrasto con la direttiva europea sui rimpatri dei clandestini, in quanto la pena detentiva «rischia di compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito dalla direttiva, ossia l’instaurazione di una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare nel rispetto dei loro diritti fondamentali». «La Corte – si legge nel dispositivo – considera che gli Stati membri non possono introdurre (…) una pena detentiva (…) solo perché un cittadino di un paese terzo, dopo che gli è stato notificato un ordine di lasciare il territorio nazionale e che il termine impartito con tale ordine è scaduto, permane in maniera irregolare in detto territorio», si legge in una nota diffusa dalla Corte che sollecita gli Stati membri «ad adoperarsi per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, che continua a produrre i suoi effetti». E per questo «il giudice nazionale, incaricato di applicare le disposizioni del diritto dell’Unione e di assicurarne la piena efficacia, dovrà quindi disapplicare ogni disposizione nazionale contraria al risultato della direttiva (segnatamente, la disposizione che prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni) e tenere conto del principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite, il quale fa parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri».
Non si tratta, dunque, di una posizione vagamente “buonista”, perché la sentenza si iscrive all’interno di una direttiva sui rimpatri degli iregolari. La Corte eccepisce piuttosto sulla introduzione nel nostro ordinamento di una discriminazione ritenuta inaccettabile anche dalla nostra Corte Costituzionale: lo “status” di clandestino non può essere una aggravante nel caso di non ottemperanza del decreto di espulsione. D’altra parte la sentenza, secondo il presidente del Pontificio consiglio per i migranti, mos. Antonio Maria Vegliò, «dimostra attenzione alla persona umana anche quando si trova in una situazione irregolare e questa attenzione è alla base della sollecitudine pastorale della Chiesa e della sua dottrina sociale».
PACIFISMO? – Che tenerezza quei cartelli inalberati durante le manifestazioni con la scritta “Articolo 11: L’Italia ripudia la guerra”. Vogliamo leggerlo per intero? “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.
Cosa si deduce? Che la nostra non è una Costituzione “pacifista”, nel senso che ripudia sì la guerra, ma solo come “strumento di offesa alla libertà di altri popoli” (guerre di aggressione) e come “mezzo per risolvere le controversie internazionali” (primato della politica e della mediazione fra stati, all’interno di un quadro di diritto internazionale). Non esclude però che si possa usare la forza se autorizzati dal Consiglio di sicurezza e se l’obiettivo è assicurare la pace e la giustizia tra le nazioni (le truppe in Libano) o proteggere i diritti umani delle popolazioni interessate (in Libia).
AUTOCRITICA – Se c’è una cosa che colpisce nei dibattiti pubblici e nei talk-show televisivi è la granitica posizione espressa dagli esponenti della maggioranza che vengono inviati a spiegare e illustrare le posizioni del governo sull’universo mondo, da Ruby nipote di Mubarak ai provvedimenti anticrisi ai repentimi mutamenti di posizione in campo internazionale, al nucleare… Mai nessun dubbio, mai nessun accenno ad autocritica, mai un cambiamento dichiarato di posizione di fronte a nuovi elementi, mai la presa d’atto che magari qualcun altro aveva avuto una idea migliore, mai una espressione del tipo “in effetti non tutto è andato secondo quanto avevamo previsto”, mai il riconoscimento diopinioni diverse da quelle del “capo”. Nulla, non è mai successo nulla. E qui siamo in deciso disaccordo con Angelo Panebianco, che giorni fa aveva coniato l’equazione degli opposti ed equivalenti “odii” dei due schieramenti, la loro chiusura a ogni e qualsiasi dibattito, la reciproca sordità e l’incapacità di dialogare. No, non è proprio così. Anche perché le posizioni espresse dall’opposizione (o meglio, dalle opposizioni) sono varie e plurali, su ogni tema si confrontano diverse soluzioni, magari in alcuni casi frutto di personalismi o di settarismi di gruppo, ma certamente anche di una capacità di discussione e di confronto sconosciuta dall’altra parte e che perfino la componente “liberale” del Pdl sembra aver dimenticato.
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