COVID-19 in Yemen

C’è qualcosa di peggio che dover fronteggiare una pandemia letale? Sì, doverlo fare in un Paese in guerra. Esattamente ciò che sta accadendo in Yemen, come testimoniano le equipe di Medici Senza Frontiere (MSF) impegnate sul campo.

Lo Yemen è teatro di una guerra civile dal 2015, le fazioni in lotta sono sostenute da potenze esterne che usano il Paese come terreno di confronto “indiretto”, fornendo armamenti o intervenendo direttamente nel conflitto, come ha fatto l’Arabia Saudita con svariati bombardamenti, senza che questo provocasse il biasimo della “comunità internazionale”. Dopo cinque anni di combattimenti, la situazione del Paese è drammatica, tuttavia non si intravede alcuna soluzione negoziale. Nel mezzo di questa tragedia, è arrivata anche l’epidemia COVID-19 a peggiorare ancora di più la situazione.

Il centro di trattamento COVID-19 gestito da MSF ad Aden è l’unico presidio dedicato alla cura del morbo in tutto il sud dello Yemen. Secondo il loro rapporto, fra il 30 aprile e il 17 maggio ci sono stati 173 ricoveri, dei quali 68 deceduti. Una percentuale di mortalità superiore al 30%, molto più elevata di quella di qualunque altra nazione, per via delle precarie condizioni in cui si vive, o meglio si sopravvive, nel Paese. Lo spiega bene Caroline Seguin, capo missione MSF in Yemen: “Le persone stanno venendo da noi troppo tardi per salvarle, e sappiamo che molte più persone non stanno venendo affatto: stanno semplicemente morendo a casa”. A causa della guerra, infatti, gli spostamenti sono estremamente rischiosi, per cui chi contrae il contagio decide di recarsi in ospedale solo quando la situazione diventa estremamente critica, ovvero in presenza di una sindrome respiratoria acuta, fattore che rende assai più ardua la terapia e improbabile la guarigione.

Come in molte altre nazioni dove MSF è presente con analoghi progetti di contrasto alla pandemia, anche qui in Yemen il virus SARS-CoV-2 si conferma potenzialmente assai letale: “L’elevato livello di mortalità che osserviamo fra i nostri pazienti – sottolinea Seguin – è equivalente a quello delle unità di terapia intensiva in Europa, ma le persone che vediamo morire sono molto più giovani che in Francia o in Italia: la maggior parte sono uomini fra i 40 e i 60 anni”.

Che la situazione sia grave lo testimoniano le stesse rilevazioni governative, che registrano 80 morti alla settimana in città, contro una media di 10 decessi nel periodo precedente allo scoppio del focolaio epidemico. Un altro indicatore della penetrazione del virus è l’improvviso incremento di contagi fra il personale sanitario, inclusi alcuni membri dello stesso staff di MSF. Segnali inequivocabili, che oltretutto rappresentano solo “la punta dell’iceberg”, come ha dichiarato la stessa Seguin. I numeri rischiano di essere dunque quelli di una catastrofe, denuncia l’organizzazione umanitaria, che sempre tramite la dottoressa Seguin sollecita la comunità internazionale a intervenire: ”Le Nazioni Unite e i Paesi donatori devono fare di più e devono farlo urgentemente, non solo per Aden, ma per l’intero Yemen. I fondi per pagare i lavoratori della sanità devono essere reperiti e occorre organizzare il rifornimento delle dotazioni di sicurezza personali per tutelare gli operatori. La regione ha anche dannatamente bisogno di erogatori di ossigeno per aiutare i pazienti in condizioni critiche a respirare. Le autorità locali devono fare tutto ciò che possono per facilitare il lavoro delle organizzazioni internazionali come MSF, che stanno operando con loro per rispondere al virus, assicurando l’arrivo di dotazioni mediche e specialisti internazionali per dare manforte alle squadre sul territorio.”

L’epidemia si è abbattuta su un sistema sanitario collassato a causa dei cinque anni di guerra che affliggono il Paese, e le Autorità di Aden non sono in grado di rispondere in modo appropriato all’emergenza. Mancano i soldi per gli stipendi del personale, mancano i dispositivi di protezione individuale e mancano i test diagnostici, cosicché è impossibile conoscere le reali dimensioni del contagio. Si possono solo individuare i pazienti che muoiono con chiari sintomi di COVID-19, rimarcando il fatto che altre patologie severe quali malaria, dengue, e chikungunya, sebbene endemiche della zona, non hanno mai causato un così elevato numero di decessi in un tempo così breve.

La situazione è complicata anche dal fatto che gli altri ospedali, preoccupati dalla possibilità di introdurre il virus nelle loro strutture, hanno sospeso i ricoveri o rifiutano alcune tipologie di pazienti, il che ha ovviamente ricadute pesantissime anche sui malati affetti da altre patologie, nonché sull’altro ospedale, dedicato alla medicina d’urgenza, che MSF gestisce ad Aden, che ha visto crescere in modo esponenziale gli accessi. In queste circostanze, si è reso dunque necessario implementare i controlli pre – ricovero, per evitare appunto di introdurre nella struttura potenziali fonti di contagio, isolando immediatamente chiunque presenti sintomi sospetti.

Una situazione davvero critica: “Stiamo facendo tutto ciò che possiamo, ma non possiamo contrastare il virus da soli” conclude Seguin “è moralmente inaccettabile che il mondo lasci Aden e il resto dello Yemen a fronteggiare questa crisi con le proprie sole forze”.

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