Comprensori: rimpianto, provocazione, o risorsa?
45 anni fa, esattamente il 4 giugno 1975, con legge regionale n. 41 venivano istituiti in Piemonte i Comprensori, organismi per la programmazione regionale.
Ma rappresentavano molto di più, perché in quegli anni stava perdendo peso la Provincia e non esistevano ancora le Unità Sanitarie locali; perciò quell’organismo che portava i Comuni a collaborare di più e a programmare insieme il loro sviluppo futuro era, almeno per i territori periferici e quelli che storicamente erano capoluoghi di un’area territoriale socio-economica, un’occasione per pensare in grande e ritrovare un ruolo politico.
Le cose, solo dopo 10 anni, presero una piega diversa e i Comprensori sparirono dall’ordinamento regionale, ma soprattutto dalla memoria collettiva. Chi si ricorda dei Comprensori, dell’impegno portato avanti, da chi erano composti e rappresentati?
E con la loro chiusura (parlo del Piemonte) finirono i sogni di diventare Provincia per Pinerolo, Alba, Casale Monferrato, Ivrea; solo Biella e il Verbano raggiunsero la meta.
Ripenso e ragiono ad alta voce. Considerato come sono finite anche le Province, mi piace ritornare sull’argomento con qualche considerazione. So che le mie convinzioni non sono condivise né a destra né a sinistra, e nemmeno dagli amici che abitano posizioni di centro. Addirittura neanche da molti popolari, con cui in questi anni ho scambiato opinioni sulla questione “Enti Intermedi”. Anche i tempi, in cui si sopporta sempre meno la pletora di istituzioni, l’eccessiva distribuzione dei poteri e si desidera rapidità di decisione, non favoriscono certo il riproporre “cose del passato”. Del resto è successo così con la legge elettorale: anche gli amici mi ritenevano “sorpassato” per la mia preferenza del proporzionale, poi si sono lamentati che si era schiacciati dall’una o dall’altra parte, diventando irrilevanti. E’ stato così anche per gli Ospedali: “il futuro è in strutture concentrate per risposte adeguate”, poi il Covid ci ha fatto capire che non si può smantellare tutto e lasciare i territori sguarniti.
Ma torniamo agli Enti Intermedi. Non c’è nessun rimpianto per situazioni che oggi so non essere riproponibili. Il Comprensorio non disponeva di proprio personale (che dipendeva dalla Regione) e non aveva un Bilancio proprio; era “solo” un organismo di programmazione, anche se per molte questioni o decisioni rilevanti (ricordo per quanto riguarda Casale M. la questione dell’insediamento previsto di una centrale nucleare a Trino Vercellese [Trino rientrava nel territorio comprensoriale di Casale]) la Regione richiedeva pareri e coinvolgeva.
Non c’è provocazione per riproporre una gara tra Provincia e Comprensorio; su quale sia la soluzione migliore per valorizzare territori e aree socio-economiche che si potevano sentire “soffocate” e a volte marginali dentro ad un contenitore istituzionale più ampio (pensiamo al cuneese, o ad aree della provincia di Torino, dove immagino che il capoluogo ecceda sulle periferie).
Neppure immagino (non ne ho competenza) proposte istituzionali per gli enti Locali. Non conosco le realtà extra piemontesi! Anche se la difficoltà nel realizzare accorpamento di piccoli Comuni, le divisioni in alcune Unioni Comunali, Provincie con eletti di secondo grado (il cittadino non è contemplato nella definizione del governo degli Enti Intermedi?!!?) sono spie per constatare che tutto dipenda ormai dalle Regioni: nuovo accentramento! Né si possono sottacere gli impegni e l’utilità avuti dai Consigli di Valle e dalle comunità Montane, e neppure dimenticare che “In molti territori della montagna e delle aree interne i piccoli e piccolissimi Comuni sono un presidio insostituibile sul piano civile e sociale, prima che istituzionale” (Dellai).
Personalmente non vedrei male (tenuto conto del sempre maggiore ruolo in futuro dell’Unione Europea) un ridisegnare i territori delle Regioni, diminuendole a una dozzina; e come Enti Intermedi – mi limito a parlare del Piemonte (come è passibile avere una Città Metropolitana [Torino] che va da Ivrea a Pinerolo, da Chivasso a Susa?) – il ripristino di quelli che erano i Circondari, prima dell’Unità d’Italia, le cosiddette piccole Province. Ovviamente con personale e bilancio propri, compiti precisi (ad esempio lavori pubblici, protezione civile, assistenza ai Comuni, turismo locale, programmazione territoriale, formazione professionale) insieme al coordinamento dei servizi sanitari superando l’Assemblea dei Sindaci senza emarginarli, anzi!
Questi Circondari, i cui responsabili politici sarebbero eletti direttamente dai cittadini, avrebbero la possibilità di provvedere allo sviluppo sociale, economico, culturale di aree territoriali omogenee e di rappresentare a pieno titolo l’insieme delle Amministrazioni Comunali nei confronti della Regione e del Governo nazionale.
E’ ancora Lorenzo Dellai che afferma, per ricordare l’importanza di queste aree, “La riforma [delle Province ndr] che abbiamo approvato (semplificando la rete delle istituzioni invece che le procedure burocratiche e dei servizi pubblici) ha prodotto una situazione non sostenibile di desertificazione democratica dei territori non metropolitani. Ciò che ci si ostina a definire “territori di area vasta”, sono molto spesso comunità sub regionali che avevano identità, coesione, strumenti di partecipazione democratica e che oggi vivono in totale smarrimento. Sono trattate, appunto, come territori di area vasta e non come Comunità originali”. Ecco il punto: l’identità, la coesione, la partecipazione delle comunità locali. Questi sono gli obiettivi, più che semplici territori da organizzare.
Perciò, non ultimo, i Circondari/Comprensori favorirebbero anche le forze sociali ed imprenditoriali a tornare a ragionare in un’ottica più legata ai territori dove la gente lavora, produce, studia, commercia. Tornerebbe nelle città medio piccole la rappresentanza sindacale, di categoria, degli imprenditori. Le persone non si sentirebbero dimenticate dai livelli superiori. Il futuro delle aree “periferiche” o “interne” alle attuali Province verrebbe deciso sul posto dalla politica e dagli operatori locali.
Lo so, il mio per ora resta un sogno; un andare contro l’andazzo attuale che semmai è quello di dare maggiore efficienza, di non avere tante piccole strutture inefficaci e insicure (alcuni Reparti ospedalieri ad esempio) sparsi sul territorio, ecc. Eppure la vicenda della pandemia dovrebbe averci richiamati all’importanza di servizi decentrati, di un ritorno ad una vita meno caotica e inquinante per l’eccesso di traffico e di spostamenti non sempre utili e necessari.
Inoltre, senza tornare all’ottocento, so il lavoro utile (fosse anche solo l’aver portato i Comuni a programmare insieme e a pensare uno sviluppo comune evitando doppioni e ottenendo supporto per iniziative e investimenti) svolto in pochi anni dai Comprensori. E so che, finita quella esperienza molti si sono trovati in difficoltà per tutta una serie di decisioni, di collaborazioni, di servizi.
Riapro gli occhi. Termino il sogno. Ma continuo a sperare in una stagione nuova per gli Enti Intermedi.
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