Il potenziamento dell’assistenza sanitaria territoriale
L’epidemia COVID-19 ha evidenziato le carenze strutturali del nostro Sistema Sanitario Nazionale, depauperato da anni di tagli dei fondi e da politiche che da un lato hanno favorito lo sviluppo della sanità privata, mentre dall’altro hanno fortemente indebolito i presidi territoriali a favore di politiche di accentramento dei servizi, strategie rivelatesi fallimentari al momento di affrontare l’emergenza.
Per questo, dopo anni di tagli alle risorse, il Governo e in particolare il ministro della Salute Roberto Speranza hanno dichiarato di voler attuare un’inversione di tendenza, aumentando i finanziamenti nel settore e ricostruendo una rete di assistenza territoriale.
In particolare, con il Decreto Rilancio sono stati stanziati alle ASL 734 milioni di euro destinati specificamente all’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI), raddoppiando di fatto le risorse a disposizione nel secondo semestre 2020. Ora si tratta di capire se questo finanziamento straordinario possa in futuro diventare strutturale.
La cifra è rilevante, se la confrontiamo ai 3,25 miliardi di Euro complessivamente stanziati per la Sanità, dei quali il 40% , pari a 1,25 miliardi, sono appannaggio del Fondo Sanitario Nazionale ( i restanti vanno ai servizi ospedalieri e a nuovi investimenti sul personale) e vengono in gran parte utilizzati per garantire le cure domiciliari previste dai LEA, i Livelli Essenziali di Assistenza.
La seconda voce di spesa (332 milioni) riguarda gli infermieri di famiglia/comunità, poi abbiamo il monitoraggio a distanza o telemonitoraggio (72 milioni) e le Unità Speciali di Continuità Assistenziali (Usca) (61 milioni), più altre voci (isolamento, assistenti sociali) con quote minori.
Per valutare meglio l’impatto del nuovo stanziamento del Governo destinato all’ADI è opportuno metterlo a confronto con i dati attuali, relativi al recente passato. Nel 2017, ultimo dato disponibile, le Regioni hanno complessivamente destinato all’assistenza domiciliare delle ASL circa 1,5 miliardi di Euro,secondo quanto valutato da Cristiano Gori, docente presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Trento. Sempre secondo Gori, “l’investimento su questa voce, rapportato ad ogni anziano over 65, è estremamente variabile, dai 67€ della Campania ai 251€ dell’Emilia-Romagna”.
L’incremento previsto dal decreto è dunque pari alla metà della cifra annuale complessiva ed essendo riferito al solo secondo semestre, come si diceva, di fatto raddoppia le risorse a disposizione delle Asl. Il problema sta nella natura transitoria del provvedimento, un Decreto varato specificamente sulla base dell’emergenza Coronavirus, che in parte sappiamo già non essere ripetibile su alcune voci di spesa. Per quanto riguarda invece l’ADI e gli infermieri di famiglia / comunità, lo Stato ha autorizzato le Regioni a ripetere la spesa, anche se non ha ancora stanziato le risorse necessarie. Ciò significa che, in caso di implementazione dei fondi, tali destinazioni risulterebbero prioritarie.
Tutto questo non consente di dare un giudizio definitivo sul provvedimento, perché occorre capire se lo stanziamento straordinario diventerà effettivamente strutturale, tuttavia è senz’altro un segnale importante di inversione di tendenza rispetto ai tagli degli ultimi anni, attuati da esecutivi nazionali e regionali di quasi tutti gli schieramenti. Naturalmente, il solo stanziamento di fondi non è di per sé sufficiente: occorre anche ricostruire quella rete assistenziale territoriale e domiciliare che negli ultimi anni era stata in gran parte smantellata o depotenziata, creando un vulnus nella nostra sanità che l’emergenza epidemica ha drammaticamente evidenziato: il fatto che l’utenza, in mancanza di servizi diffusi, fosse obbligata a convergere sulle strutture ospedaliere e in particolare nelle unità di Pronto Soccorso, determinando sovraffollamento e commistione, ha contribuito in maniera rilevante alla diffusione del contagio, con le conseguenze che purtroppo ben conosciamo. All’opposto, la gestione decentrata dei pazienti ha permesso successivamente di gestire l’epidemia in maniera più efficace, diminuendo il rischio di trasmissione del virus. Ora si tratta di recepire questa lezione e prevedere per il futuro un elevato livello di presidio sanitario territoriale.
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