L’Europa deve essere anche “sociale”

Si dice spesso che per cambiare le Costituzioni o l’ordinamento politico- istituzionale di uno Stato serva un evento significativo (guerra, grave crisi sociale, distruzioni, ecc.). Questo vale anche e soprattutto per la nostra Casa Comune, l’Europa unita. Ora abbiamo la novità dell’accordo stipulato dal Consiglio europeo di metà luglio, che offrirà possibilità nuove; anche se i cosiddetti “frugali” restano con la pistola del ricatto in mano per altre occasioni. Ma facciamo un passo indietro.

Prendo spunto da un interessante articolo di Enrico Letta, su Avvenire del 23 giugno. Benché non paragonabile per distruttività materiale a una guerra, la crisi Covid ne replica, però, i tratti della “cesura” storica: un taglio netto, drammatico, rispetto al “mondo di prima”, ma anche l’occasione positiva, rigenerante, di ricostruire le società europee su basi nuove. In questo «passaggio epocale», per richiamare la definizione di Papa Francesco, la prima lezione da cui ripartire in Europa è che «tutti dipendiamo da tutti»: all’interno delle società e tra Stati membri. Dai comportamenti di ciascuno discendono le sorti degli altri.[..]  Ad essa si ricollega la seconda lezione che, più che un monito, è un richiamo al senso profondo dell’Unione: pur con tempistiche e soluzioni diverse, infatti, nel complesso i grandi Paesi europei, messi di fronte alla scelta drammatica tra la tutela della vita e le ragioni dell’economia, hanno prevalentemente optato per la prima, benché consapevoli delle ricadute che questa decisione avrebbe avuto sull’economia e sul lavoro. Di nuovo: la persona, con i suoi diritti non negoziabili, al centro. E il confronto con quanto avvenuto altrove (negli Stati Uniti, in Russia o in Brasile) pare suffragare l’auspicio del cardinale Martini che preconizzava la trasformazione della proiezione globale dell’Europa a un ruolo di «faro morale e culturale». Da una influenza economico–politica di matrice novecentesca, a una ritrovata centralità conquistata in virtù del nostro essere «potenza di valori»”.

Aggiunge, Letta, che la reazione delle classi dirigenti europee nel dopo Covid, per esprimere la bussola dei valori che devono orientarci, pare muoversi in una giusta direzione: l’Europa c’è ed è pronta a dispiegare tutte le sue energie, l’Europa è comunità di valori in cui nessuno deve restare indietro, l’Europa si candida in un nuovo ordine globale ad essere “potenza” con la forza dei propri valori e della propria identità. Constata il pericolo che si è corso negli anni passati per una tardiva risposta di fronte ad una serie di crisi (da quella finanziaria del 2008, ai rifugiati, dal terrorismo, alla Brexit), ritardo interrotto solo dalle decisioni di Draghi. Sono stati ritardi che potevano condurre l’Europa non solo all’irrilevanza negli affari globali, ma alla stessa disintegrazione del progetto politico e istituzionale entro il quale è da decenni collocata. Abbiamo corso un rischio esiziale, dobbiamo esserne consapevoli. Abbiamo lasciato che in gioco ci fosse la stessa sopravvivenza dell’Unione [..] Di qui la minaccia rappresentata dal ritorno dei nazionalismi, dalla degenerazione dell’ethos pubblico, da spinte populiste ovunque contrassegnate dalla paura, dal rifiuto aprioristico delle ragioni altrui, dallo svilimento di valori quali la solidarietà e la vita stessa di altri esseri umani”.

Letta conclude che invece questa volta c’è stato un cambio di passo e di visione: “È grazie a questa acquisita consapevolezza che si è potuto, ad esempio, giungere al Recovery Fund lanciato dalla Commissione europea. Centinaia di miliardi messi a disposizione degli Stati membri, a partire da quelli più colpiti dalla pandemia. È grazie a questa mutazione di intenti che si è cambiata, archiviando la vicenda greca e gli errori a essa connessi, la natura del Fondo salva Stati, il famigerato Mes, creando una linea di credito speciale dedicata solo alla modernizzazione dei sistemi sanitari, alla cura e alla prevenzione della salute dei cittadini in previsione di altre emergenze. Infine è grazie alla comprensione dell’intensità del disagio delle persone che è nata davvero l’Europa sociale. Quella del programma Sure, attraverso il quale per la prima volta nella sua storia l’Unione si fa centro di irradiazione di politiche pubbliche contro la disoccupazione e l’emarginazione. [..] L’Europa sta trovando la forza di rialzarsi e sta cogliendo l’occasione per diventare davvero adulta, ridisegnando, aggiornandolo, il suo modello di sviluppo intorno ad alcune grandi missioni: la sostenibilità ambientale, la coesione sociale, l’umanesimo tecnologico”.

Non ci si può, ovviamente, fermare qui. Serve altro e soprattutto serve sorveglianza. Non solo dei “frugali” per verificare la correttezza dell’uso dei fondi; ma anche di chi desidera davvero che questa “ripartenza” diventi una vera “rivoluzione della visione e missione” dell’Europa. Che davvero l’Europa Sociale (e culturale, perché ci sono aspetti legati alla cultura al turismo al supporto alla creatività giovanile che devono essere considerati e sostenuti) si realizzi su basi nuove, andando oltre e non fermandosi ai pur importanti Fondo sociale europeo o Erasmus.

Così come è importante realizzare sui valori della solidarietà, della fratellanza, del comune destino il futuro dell’Unione. Per evitare l’incancrenirsi dei campanilismi, dei separatismi, dei nazionalismi.

Ancora una volta deve rendersi evidente lo slogan “Uniti nella diversità”: in cui ci sia il rispetto delle differenze culturali, religiose, etniche, ma senza andare a discapito del cammino unitario che ci fa un popolo con obiettivi comuni, superando tutte le contrapposizioni e divisioni che hanno insanguinato le nostre contrade per secoli.

Per ora l’accordo a livello europeo sembra tenerne conto, pur con perplessità da parte di chi continua a ragionare solo con la finanza e la ragioneria. Vedremo se si compiranno passi in avanti dal punto di vista istituzionale e della comune socialità, incamminandosi su visioni nuove e di vera integrazione e solidarietà.

E per procedere concretamente – queste le vere e prime riforme – si apra subito la questione della omogeneizzazione fiscale per i Paesi aderenti e si intervenga con decisione sui paradisi fiscali (impedire che le amministrazioni pubbliche stipulino contratto con le imprese che depositano capitali in quei Paesi; mettere in essere le misure necessarie alla trasparenza su ogni transazione e accordo che coinvolga i governi). 

Chi di spada (veti e ricatti) ferisce …. deve essere disarmato per non dargli altre possibilità ostruzionistiche.

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